Stefano Folli per la Repubblica
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI - BY EDOARDO BARALDI
La tattica del rinvio, come tanti hanno osservato, è sinonimo di debolezza. Una maggioranza che si assenta in Commissione sulla ratifica del fondo salva-Stati assomiglia al famoso struzzo: mette la testa sotto la sabbia per nascondersi, ma non si accorge che il suo corpaccione rimane in bella vista. Del resto c’era un console e generale romano, Fabio Massimo detto il Temporeggiatore, famoso proprio per le sue tattiche dilatorie.
La differenza era che quel comandante aveva le idee chiare circa i suoi obiettivi, su cosa voleva ottenere. Adesso si temporeggia senza sapere con precisione dove andare. Il centrodestra è prigioniero della sua stessa propaganda. Prima delle elezioni il Mes era il simbolo dell’Europa matrigna che con una mano ti salva sul piano finanziario e con l’altra ti espropria della tua sovranità. Adesso è diventato una strettoia quasi impossibile da aggirare senza pagare un prezzo esorbitante nella logica sia dell’Unione sia dei mercati a cui vendiamo i titoli di Stato, specchio di un alto livello di debito pubblico.
MATTEO SALVINI E GIORGIA MELONI
S’intende che non tutte le critiche al meccanismo sono infondate. Ma ben pochi hanno la competenza tecnica per partecipare al dibattito con cognizione di causa. I più, nella stagione dei talk show, si affidano ad argomenti orecchiati. Ed ecco che il Mes diventa una sigla esoterica attraverso cui far passare manovre politiche nate nella cucina domestica. Come è noto, Giorgia Meloni ha intrapreso da tempo un cammino che nelle intenzioni dovrebbe portarla ad essere accettata senza riserve quale interlocutrice dell’”establishment” europeo: capo del fronte conservatore, ma abbastanza pragmatica per tessere rapporti con i popolari e pur coi socialisti e i liberali “macroniani”. Non serve molta immaginazione per capire che in tale prospettiva il Mes è una medicina da trangugiare.
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Tuttavia il peso della retorica passata incombe e paralizza. Anche Salvini lo sa, ma il suo gioco è al solito spregiudicato: scavalcare a destra la presidente del Consiglio per condizionarla e strapparle un po’ di voti “sovranisti” (...) Però è riluttante ad accettare la leadership meloniana ed è tentato dall’organizzare la guerriglia dentro e fuori il perimetro del centrodestra. Sarà un caso, ma sul Mes si è ritrovato in sintonia con l’antico socio, Conte, insofferente a sua volta per via della rivalità con Elly Schlein e contraddizione con se stesso, visto che i 5S il Mes lo avevano accettato.
Oggi però il punto è la capacità della Meloni d’imporre la sua guida alla coalizione. Al momento la leadership è carente. E il rapporto con l’Europa equivale a un esame di maturità: non perché lei debba accettare in toto l’ortodossia europeista, ma per il buon motivo che non esiste un’alternativa nazionalista all’Unione compatibile con la vecchia retorica.
C’è una terza via? Il senatore a vita Mario Monti ne ha suggerito una sul Corriere : ratificare il meccanismo, ma subordinarne l’applicazione (ove mai se ne presentasse la necessità) a una specifica autorizzazione del Parlamento. Un’ipotesi che riecheggia la via imboccata da Berlino, dove sulle cessioni di sovranità si lascia l’ultima parola a una pronuncia della Corte Costituzionale. Quantomeno, è un’idea su cui riflettere.
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI CONFERENZA STAMPA MANOVRA