1. PITRUZZELLA SI RITIRA DALLA CORSA
Liana Milella per “la Repubblica”
Consulta. Quella che Mattarella chiama tuttora «la mia Corte» e dove è stato giudice per quasi 4 anni. Quella per cui ieri mattina, parlando con Grasso e Boldrini, già intorno alle 9 esprimeva «forte preoccupazione » concordando con Grasso che l’unica via per sbloccare l’empasse dei tre giudici mancanti era solo una votazione a oltranza.
Quando è sera l’auspicio presidenziale si materializza dopo una nuova fumata nera, la numero 28. Oggi si voterà di nuova, alle 19, in coda ai lavori ordinari. E senza fumata bianca c’è il rischio di andare avanti sempre di sera, e pure di sabato e domenica.
Ma i risultati di ieri, politicamente, certificano la fine della “terna” sponsorizzata dal Pd, dagli alfaniani e da Forza Italia, il «partito del patto del Nazareno » come accusano i 5stelle, ma anche una parte della sinistra Dem.
Il segreto dell’urna costringe il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella al passo indietro. I 492 voti di una settimana fa diventano 470. È l’effetto, anche se assai contenuto, dell’indagine di Catania. Alle 19 Pitruzzella deve ammettere che «non ci sono più le condizioni » per andare avanti.
Invece continua la corsa il costituzionalista Augusto Barbera, sponsorizzato dal Pd. I suoi consensi, anche se di poco, crescono (da 536 a 545). Siamo distanti dai 571 del quorum, ma chi conta nel Pd, come il vice segretario Lorenzo Guerini, continua a definirla «una candidatura autorevolissima».
Anche il forzista Francesco Paolo Sisto va avanti in consensi, da 511 a 527 voti, incassa qualche voto leghista, si mostra «soddisfatto », ma su di lui incombe la freddezza del capogruppo Renato Brunetta che da sempre vorrebbe Giovanni Guzzetta, il costituzionalista che fornì a Berlusconi uno dei pareri anti legge Severino.
Le urne svelano che è andato avanti anche Giovanni Piepoli, il professore di diritto barese lanciato dal Centro democratico di Dellai e Tabacci che passa da 56 a 83 voti. «Sono un candidato non candidato» scherza lui, mentre i suoi sponsor trattano con Alfano, Lupi e Schifani per “vendere” quel prezioso pacchetto di voti.
Chi sostituirà Pitruzzella? È il grande interrogativo di oggi, ancora ieri sera del tutto irrisolto. M5S sarebbe ben disponibile a riaprire la partita con la maggioranza. Sul piatto porta il risultato del costituzionalista Franco Modugno, passato dai 140 voti di una settimana fa ai 156 di oggi.
Con 112 grillini presenti in aula significa che non solo Sel e Si, ma anche più di un Dem lo ha votato. Danilo Toninelli, il plenipotenziario di Casaleggio sulla partita della Consulta, continua a bocciare Barbera, ma se il Pd cedesse su Sisto e spingesse per un “non politico”, M5S potrebbe anche ingoiare Barbera incassando Modugno.
Scenario che appare irrealistico a parlarne con il Pd perché Renzi, dicono i suoi, «non vuole un grillino alla Corte dove approderanno l’Italicum e la riforma costituzionale». Suona secco, alle 10, l’sms che raggiunge i parlamentari, «si votano Barbera, Sisto, Pitruzzella».
Un sms che produce malumori, «ormai siamo alle imposizioni senza discussione» dice un dem della sinistra che prevede già la fumata nera proprio per l’assenza di confronto. Eppure dicono di votare allo stesso modo sia i renziani che i bersaniani. Alla buvette si ritrovano prima gli uni, poi gli altri. Ecco Guerini, Lotti, Boschi, Pinotti, Ermini e Carbone.
Gag con Verdini che butta un paio di centesimi nel taschino di Lotti, «lo sto finanziando », e lui che subito li butta via. Nessuna incertezza, «abbiamo votato tutti la terna» assicura David Ermini. Un’oretta dopo, sempre alla buvette, si palesano Bersani, Epifani, Speranza, Stumpo. «Li abbiamo votati, state tranquilli, su questo non vogliamo fornire a Renzi alcun alibi».
Eppure, conti alla mano, al “patto del Nazareno” manca sempre un centinaio di voti. I Pd ne hanno piena consapevolezza, tant’è che tentano perfino un aggancio con la Lega.
Finisce con un siparietto fuori dall’aula tra Ettore Rosato e Massimiliano Fedriga, il loro capogruppo alla Camera. Rosato a Fedriga: «Potevi pure dirmi che alla fine hai votato scheda bianca». Lui: «Ci siamo riuniti e abbiamo deciso che non facciamo da ruota di scorta a nessuno ». Con i leghisti ci hanno provato tutti, da Forza Italia agli alfaniani, si parla di una contropartita alla Corte dei conti, ma Fedriga racconta di «essere entrato e uscito di corsa dall’urna proprio per far vedere che non ho votato nessuno».
FRANCESCO PAOLO SISTO E LE SUE BUFFE SCIARPE
Oggi che succede? Alfano, Schifani e Lupi devono scegliere il nuovo candidato. Hanno una giornata per farlo. Devono convincere Dellai e Tabacci a lasciare Piepoli, i cui 83 voti sono preziosi. Incombe il forzista Rocco Palese, che ieri sera raccoglieva le firme per le sedute a oltranza. Alla fine la stanchezza della seduta notturna potrebbe avere la meglio sull’accordo politico.
2. PITRUZZELLA: “SONO STATI I DEM A CANDIDARMI”
Emanuele Lauria per “la Repubblica”
Quelle poche righe con cui ha lasciato la sempre più accidentata strada che portava alla Consulta le ha vergate di proprio pugno, soppesando le parole. La «serenità» e il «contesto politico»: ecco cosa è venuto a mancare, per Giovanni Pitruzzella. Ecco cosa gli ha impedito di affrontare una nuova verifica parlamentare. E quel brevissimo comunicato è anche l’unica dichiarazione ufficiale del presidente dell’Antitrust, uscito di scena ma – dice - non sconfitto.
Perché nei conciliaboli dell’ultimo giorno, nei colloqui ritagliati in una fitta giornata di “normale” lavoro all’Authority, una sola cosa il costituzionalista palermitano ripete come un ossesso: «Non ho nulla da rimproverarmi. Non ho chiesto io la candidatura al ruolo di giudice costituzionale. Mi è stata offerta dalle forze politiche di maggioranza. Dal Pd – sottolinea – e dagli alleati».
Un ragionamento che, spiega a chi gli sta vicino, serve a spiegare un paio di concetti: sbagliato collocare la sua posizione all’interno del rigido recinto centrista (malgrado solidi legami con l’amico di sempre Renato Schifani) e ugualmente errato credere che il passo indietro di ieri nasca da pressioni politiche: «E’ stata una mia autonoma valutazione», gli sfugge al telefono, poco dopo il voto delle Camere.
Pitruzzella ha ascoltato lo scrutinio negli uffici dell’authority. Lì ha appreso di quei 20 consensi in meno acquisiti rispetto alla precedente votazione. Un calo sensibile, che lo ha portato a cento voti dal quorum per andare alla Consulta. Un baratro, quello che restava da affrontare.
Una voragine che l’ha convinto, appunto, a rinunciare, a registrare quella «mancanza di condizioni» per affrontare un nuovo esame del Parlamento. D’altronde, per un uomo avvezzo da sempre alle frequentazioni politiche – consulente dal ’93 in poi di governi di centrosinistra e centrodestra in Sicilia – il segnale era chiarissimo.
Epperò, malgrado tutto, il professore crede di non aver pagato l’urto la diffusione delle notizie sull’indagine che lo coinvolge a Catania, avvenuta nel week-end. «Venti voti in meno rispetto al voto di giovedì scorso sono un’inezia, certamente non riconducibili all’aggressione mediatica che ho subito», puntualizza Pitruzzella ai suoi collaboratori. Il dazio pagato, secondo il costituzionalista, non sarebbe insomma da collegare all’esistenza dell’inchiesta rivelata da Repubblica. Ma sarebbe invece da attribuire squisitamente «alle divisioni della coalizione che avrebbe dovuto sostenermi».
Resta un quesito di fondo.
Pitruzzella, indagato per aver falsato un arbitrato, aveva informato i leader della maggioranza che avevano avanzato la sua candidatura dell’inchiesta a suo carico? Il presidente dell’Antitrust, su questo punto, in queste ore è rimasto vago con chi gli ha posto questa domanda: «Chi vi ha detto che non abbia fatto tutte le comunicazioni di dovere?». Non è una conferma, ma neppure una smentita.
E’ possibile, insomma, che chi ha proposto Pitruzzella per l’incarico di giudice costituzionale sapesse delle accuse a carico del professionista (quelle di aver falsato un arbitrato, il gip ha respinto tre volte la richiesta di archiviazione) e non le ritenesse così gravi.
Ciò che rimarca, Pitruzzella, è la determinazione con la quale, anche ieri, la maggioranza, o almeno parte di essa, ha difeso la terna bocciata dalle urne. Una determinazione che il candidato aveva letto, dopo il nuovo flop di Montecitorio, nelle parole del vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini («Siamo all’ultimo miglio») e in quella di Schifani e Lupi («Continuiamo a sostenere gli stessi nomi»).
Ma forse era solo una difesa d’ufficio. «Quella di sottrarmi dalla corsa è stata comunque una mia autonoma valutazione», è il mantra di Pitruzzella. «Mi ritiro non per evitare di mettere in imbarazzo qualcuno ma perché a questo punto era a rischio l’immagine mia e dell’istituzione che rappresento ». Le ultime parole sussurrate agli amici prima di spegnere tutti i telefoni, nella serata che gli ha precluso l’accidentata strada della Corte costituzionale.