GHERARDO COLOMBO - ANTONIO DI PIETRO - PIERCAMILLO DAVIGO
DAGONOTA
Il Puffo della Lomellina che voleva rivoltare l’Italia come un calzino, è finito nelle maglie (bucherellate) della giustizia. Anche se Piercamillo Davigo ha sempre negato di aver proferito quella frase che transita ancora su web, ma resta ormai solo una (tragica) boutade dei tempi (drammatici) di Mani pulite: “Non esistono innocenti; esistono solo colpevoli non ancora scoperti”.
L’ultimo dei mohicani di quel pool che aveva fatto sognare gli italiani nell’anno della “rivoluzione italiana”. Con l’annunciato arrivo della seconda Repubblica. Mai nata e senza alcun fondamento istituzionale nonostante continui a impregnare – grazie soprattutto all’uso indiscriminato dei media -, la nostra vita politico-istituzionale. In realtà, secondo i politologi Nadia Urbinati e David Ragazzoni, si tratta di “una imago sine re, un guscio vuoto (…) una giustificazione ideologica per intervenire nel modello istituzionale…”.
“RIVOLUZIONE ITALIANA”, UNA ROZZA BALLA
Una “macchina” trasversale a tutte le forze politiche, manovrata dai giornaloni dei poteri marci posseduti ai tempi dalla premiata ditta Agnelli&De Benedetti che aveva il monopolio dell’informazione su carta.
I due quotidiani-corazzata, allora diretti da Eugenio Scalfari (“la Repubblica”) e da Paolino Mieli (prima “La Stampa” poi il “Corriere della Sera”) il cui declino di copie vendute collima con la rivoluzione (mancata) e l’attacco indiscriminato alla Casta (ovviamente spregevole). Esclusi ovviamente i cosiddetti poteri vili: magistrati e giornalisti. Entrambi mai pentiti della balla giornalistica più rozza dell’ultimo mezzo secolo.
Gianni Agnelli con De Benedetti
IL POOL MANETTARO TRA SOMMERSI E SALVATI
Con l’Avvocato e l’Ingegnere (in scia si mise pure Berlusconi con le sue tv d’assalto) che truccavano i conti delle loro aziende e speravano di farla franca nei tribunali in quanto concussi dai tangentari e non parteci della corruzione (miliardaria), come ben presto fu dimostrato in alcune aule di tribunale lontane da quel palazzaccio di Milano assurto a simbolo di Mani pulite.
Cesare Romiti fu inquisito (e condannato) a Torino; Carlo De Benedetti fermato e rilasciato a Roma. Nella prima fase di Tangentopoli, però, nessun proprietario di giornali fu sfiorato dal grande ripulisti manettaro.
Senza il consenso dei media – un consenso senza se e senza ma, l’operazione Mani pulite non avrebbe avuto la sua vergognosa spettacolarizzazione da circo Barnum con gli imputati fatti sfilare ammanettati (caso Enzo Carra) e messi alla berlina anche dentro le aule del tribunale. E poi i politologi à la carte continuano a domandarsi dove nasce un certo populismo.
E’ IL FALSO IN BILANCIO A CREARE TAGENTOPOLI
“Ma non è Tangentopoli a creare il falso in bilancio, sono i bilanci falsi a creare Tangentopoli”, aveva aggiustato il tiro nel 1996 il professor Guido Rossi facendo strame dell’azione storta di bonifica intrapresa nel paese dal pool guidato da Saverio Borrelli.
CESARE ROMITI E GIULIO ANDREOTTI
Per aggiungere: “L’urgenza non è tanto uscire da Tangentopoli, l’Italia deve prima uscire da una situazione in cui truccare i bilanci è un costume diffuso. La mancanza di trasparenza nel sistema economico – concludeva – è ancora più grave, per i danni che arreca al paese, della corruzione politica”.
Il teorema romitiano (non soltanto il suo) delle grandi imprese vittime della concussione crollò in una procura (Torino) mentre a Milano la Fiat trattava sotto banco con il pool di mani pulite per avere un lasciapassare che salvasse gli interessi dell’azienda e al fine di evitare l’arresto dei suoi massimi dirigenti (compreso il suo).
ROMITI E IL GIRO DELLE SETTE CHIESE
ANTONIO DI PIETRO E BETTINO CRAXI
Romiti andò a cercare conforto anche presso il cardinale Martini e al cappellano di San Vittore dov’era rinchiuso il manager della Cogefar, Enzo Papi, pronto a confessare le tangenti del gruppo dopo una lunga carcerazione preventiva. E nelle stanze culturali del “Corriere della Sera”, diretto dallo storico (senza storia) Mieli, fu redatto un suo memoriale-pentimento (due paginoni) che gli consentì di lasciare la prigione.
“Ho moltissima stima del dottor Di Pietro e gli auguro di procedere fino alla fine con la sua decisione con cui ha cominciato la sua opera”, dichiarava l’Avvocato nella primavera del 1992 “scudato” dalle procure con la sua nomina a senatore a vita ricevuta (per grazia ricevuta) nel 1991 da Francesco Cossiga, che già allora aveva intuito quel devastante ciclone giudiziario.
bettino craxi francesco cossiga
E al ristorante milanese “Savini”, Cesare Romiti apparecchiava una colazione con l’intero establishment economico-finanziario con il capo del pool, Saverio Borrelli, convitato d’onore. ‘’Sembrava un generale che passa in rassegna le truppe, salutò tutti con un cenno di capo e con un militaresco colpo di tacco”, ha ricordato l’ex vice direttore del “Corriere”, Giulio Anselmi a Marco Damilano in “Eutanasia di un potere” (Laterza).
1991 LA SPALLATA DEI POTERI MARCI
La “spallata” dei poteri marci ai partiti aveva avuto un prologo nel 1991 (referendum Segni in primis), ma questa è una storia ancora tutta da raccontare senza evocare golpe giudiziari o trame internazionali. A trent’anni da Mani pulite ancora non s’è sciolto il nodo su quella slavina (primo obiettivo abbattere Bettino Craxi) che dopo averla promossa finì per travolgerli.
E senza nemmeno estirpare la malapianta della corruzione, che, a sentire il professor Guido Rossi, aveva radici profonde nei loro bilanci taroccati. La stessa magistratura di Milano, incoraggiata a svolgere il lavoro sporco con il concorso codino dei media, dopo aver fallito l’operazione di bonifica è finita anch’essa - dopo gli applausi -, nel pozzo nero del discredito (o della vergogna).
luca palamara ospite di giletti
Nelle procure, nel Csm e nell’associazione magistrati (Anm) i membri togati da anni si scannano al loro interno come i vecchi partiti correntizi a suo tempo decapitati dalla mannaia giustizialista. A narrarlo sono oggi le tragicomiche vicende della coppia di togati Palamara & Davigo.
MUOIA SANSONE-DAVIGO CON TUTTI I FILISTEI
Già, il Puffo della Lomellina coccolato dai grillini. All’inizio della sua carriera aveva preso per buona la favoletta degli imprenditori (buoni) concussi dai tangentari (cattivi), adesso è costretto a sedersi, sia pure da pensionato accidioso, dall’altra parte della barricata.
Cioè tra i sospettati dai suoi ex colleghi di aver diffuso carte secretate sull’avvocato Piero Amara. Lui il Javier della bassa nella parte del Corvo che farebbe uscire anche ai giornali considerati amici (il Fatto e la Repubblica) - grazie alla manina della sua segretaria, Marcella Contrafatto, (nomen omen?) -, il dossier che il procuratore capo Greco, da amico trasformato in nemico, avrebbe lasciato a bagnomaria nei suoi forzieri.
Tutto, ovviamente, è ancora da provare. Un incartamento riservato (e avvelenato), che puzza tanto di vendetta proprio nei confronti di Greco e con l’unico scopo di alzare un polverone su quel che resta del pool una volta. Il più amato dagli italiani come recitava lo slogan di una cucina. Insomma, una sorta di muoia Sansone con tutti i filistei gridato da Davigo, l’ultimo dei mohicani del pool.
IL JAVER DELLA BASSA E LA MATTANZA DEL POOL
Proprio lui, il grande inquisitore che col suo decalogo giustizialista sciorinato in tv negli anni ha voluto compilare, dissimulandosi in una sorta di Daniel Defoe alle anguille, il suo personale Inno alla Gogna. Ma quella lirica lo scrittore inglese la stese dopo aver ricevuto una ingiusta condanna dal tribunale per aver scritto un “sedizioso pamphlet”.
E non amministrando giustizia in quella tonnara giudiziaria guidata da Saverio Borrelli - e garantita pure dal Quirinale di Scalfaro -, in cui si contano 4.526 persone arrestate prima del giudizio, 25.400 avvisi di garanzia, oltre mille tra parlamentari, consiglieri e politici coinvolti in Mani pulite e decapitati ben prima di un processo degno.
il pool di mani pulite: di pietro, greco, davigo
Senza lasciare nell’oblio i suicidi eccellenti di Moroni, Gardini e Cagliari. “I suicidi? Ho imparato che le sue conseguenze, come per i delitti, ricadono su quelli che li commettono non su quelli che li scoprono”, ha tagliato corto più o meno così, Davigo in una delle sue ultime comparsate televisive.
IL GELIDO PUFFO DELLA LOMELLINA INCIAMPA SULLA LOGGIA UNGHERIA
Piercamillo Davigo, i cui meriti passati non vengono negati al di là degli eccessi procedurali, sembra uscito dalle pagine del mistery di Durrenmatt “La promessa”. Qui il protagonista, il commissario Matthai, gelido e inflessibile, “crede nell’innocenza di un colpevole e cerca un assassino che non può esistere”.
È la storia di una ossessione che si conclude con l’Amara (Piero) considerazione finale dell’autore che “niente è più crudele di un genio che inciampa in qualcosa di idiota”. E tale appare la “pratica” sospetta che rivela l’esistenza pure di una fantomatica Loggia Ungheria. Dopo la P2, P3 e P4 non potevamo privarci della setta magiara!
“Punire senza legge, senza verità, senza colpa”, è il sottotitolo di un volumetto scritto a tesi dal giurista Filippo Sgubbi (“Il diritto penale”, il Mulino) in cui l’autore mette sott’accusa, in pratica, l’intera architettura dell’operato del pool milanese (carcerazione per far confessare gli accusati), pur meritevoli di aver scoperchiato il vaso di Pandora della corruzione dilagante da anni e sotto i loro occhi: “I giudici sono chiamati a decidere (…) senza una verità oggettiva e sicura (…) Ma l’incuranza per la verità e la mancanza di criteri oggettivi sui cui fondare le decisioni accentua i conflitti e la rinuncia alla verità trasforma la decisione in una questione di mero potere”.
piercamillo davigo a dimartedi' 1
“BUD “PALAMARA E “DANNY” DAVIGO
E cosa ci raccontano le ultime vicende che toccano anche i piani alti dell’istituzione giudiziaria (leggi Csm, Anm e il capo dello Stato Mattarella) con protagonisti gli attori maldestri di una commedia all’italiana dal titolo “La parabola dei Santi Inquisitori” con protagonisti “Bud” Palamara e “Danny” Davigo? Del resto i miti, osservò Albert Camus, sono fatti e resistono solo se l’immaginazione li anima. Per dirla con le parole del politologo Otto Kirchheimer: “la giustizia politica è la forma che la politica assume nei momenti di passaggio (…) E, comunque, anche chi vince non può sfuggire a certi limiti (…) deve procurarsi sempre, attraverso la legalità, una legittimazione”.
ADESSO MATTARELLA ROMPA IL SILENZIO
Quel riconoscimento che oggi non può essergli (ri)accordato senza che non rinunci al potere (o alla supplenza) che ha conquistato nell’ultimo trentennio. Tocca allora ai partiti e al premier Draghi rioccupare un ruolo di garanzia tra i due poteri autonomi. In cui il primo, il diritto penale “totale”, come osserva ancora il giurista Filippo Sgubbi, è spesso “invocato in ogni situazione come intervento salvifico e, soprattutto, quale preteso rimedio - politicamente e mediaticamente remunerativo - a vari mali sociali”.
GHERARDO COLOMBO ANTONIO DI PIETRO PIERCAMILLO DAVIGO
Giusto, come chiede il presidente Mattarella, di fare piena luce sugli anni di piombo, ma anche sulla stagione di Mani pulite che ha decapitato il sistema dei partiti andrebbe acceso un lumino per rivisitare un periodo che, abusivamente, avrebbe segnato addirittura la fine della prima Repubblica”.
DAVIGO - COLOMBO - DI PIETRO LIBRO DAVIGO COLOMBO Piercamillo Davigo di pietro colombo davigo