Federico Rampini per “la Repubblica”
«Guerra ai paradisi fiscali, lista nera dei paesi che ospitano gli evasori, e sanzioni pesanti». E’ la promessa più interessante che esce da questo G20 sotto presidenza cinese. E’ l’unico impegno – se verrà mantenuto – a dare sostanza allo slogan sulla “crescita inclusiva”, cioè meno diseguale, che è contenuto nel documento finale.
E’ almeno un gesto concreto per contrastare i “populismi anti-globalizzazione”, lo spauracchio dei leader riuniti in questo summit, che rappresentano insieme l’85% del Pil mondiale. Il G20 dà mandato all’Ocse, l’organizzazione internazionale già impegnata da anni nel contrasto alla macro-evasione ed elusione fiscale, perché prepari quella «lista nera.
Vi finiranno tutte le giurisdizioni non trasparenti», che ospitano conti bancari cifrati, scatole cinesi e società di comodo, paraventi per i grandi elusori: quelli per esempio che finirono nelle rivelazioni dei Panama Paper. Ai paradisi fiscali viene lanciato un ultimatum: entro il luglio 2017 devono «uniformarsi ai criteri della legalità internazionale», firmando la convenzione multilaterale che prevede lo «scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali». Se non lo faranno, secondo i dirigenti dell’Ocse presenti al summit di Hangzhou, «subiranno conseguenze devastanti, l’inaridimento dei flussi finanziari». Le banche che trasferiscono fondi in quei paradisi off-shore rischierebbero di essere a loro volta colpite da sanzioni.
Di un tema analogo anche se non identico – l’elusione fiscale delle multinazionali che legalmente trasferiscono profitti in paesi a bassissima imposizione – si è occupato Barack Obama nella conferenza stampa finale. Il presidente americano era atteso al varco sul “caso Apple”, dopo la stangata di 13 miliardi inflitta dall’antitrust di Bruxelles al gigante tecnologico californiano. Obama non ha citato esplicitamente il caso Apple, che comunque è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto vasto.
Il presidente ha appoggiato «un’azione concertata anti-elusione», uno degli obiettivi del G20. Con un chiaro riferimento al caso Apple ha spiegato così le riserve americane: «Se qualcuno si muove unilateralmente (per recuperare le imposte dovute, ndr) noi rischiamo di perdere gettito». E’ il problema delle immense liquidità che le multinazionali “parcheggiano” in paesi dove non pagano quasi nulla – l’Irlanda nel caso di Apple – e che il fisco Usa spera un giorno di recuperare… se cambieranno le sue regole finora troppo permissive.
Ma Obama è stato duro anche verso «quegli alleati che fanno una gara al ribasso spingendo le multinazionali a spostare i loro profitti ed evitare la tassazione». Niente nomi anche in questo caso, ma la descrizione si addice al comportamento dell’Irlanda, che ha contrattato con Apple un trattamento ad hoc, abbassando fino allo 0,2% il prelievo sui profitti. Il nesso tra la battaglia all’elusione fiscale e la “crescita inclusiva” è forte: le diseguaglianze crescono anche perché le politiche fiscali sono disegnate su misura per le mega-imprese, concedono alle multinazionali dei privilegi impensabili per la massa dei contribuenti.
E’ anche un tema che si lega alla disaffezione dilagante nei confronti della globalizzazione: i cui benefici, almeno in Occidente, si sono concentrati in una minoranza di privilegiati. Sulle spinte anti-globalizzazione il G20 ha fatto la voce grossa, il comunicato finale adottato dai leader «riafferma l’opposizione ad ogni forma di protezionismo che ostacoli i commerci e gli investimenti ». Abbondano le frecciate contro «le offensive dei nuovi populismi». Ma dietro l’unità di facciata, proprio il G20 ha messo in scena le tensioni protezioniste.
the heavens alle isole cayman 1
Emblematico il caso dell’acciaio: Stati Uniti e Ue accusano la Cina per la sovracapacità mondiale. Si producono 700 milioni di tonnellate di acciaio in più rispetto alla domanda. La Cina viene accusata di dumping (vendite sottocosto sovvenzionate dallo Stato), oltre che di rallentare i necessari tagli alla sua siderurgia. Il G20 ha concordato la creazione di un forum globale per gestire la crisi dell’acciaio, ma nel comunicato c’è anche una condanna di «sussidi e aiuti di Stato che distorcono i mercati».
IL MAR DEI CARAIBI E I PARADISI FISCALI
E’ esploso alla luce del sole anche il dissenso in casa europea, sui trattati di libero scambio. Il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha ribadito che continuerà a negoziare con gli americani per condurre in porto il Ttip transatlantico «perché questo è il mandato che abbiamo dagli Stati membri».
paradisi fiscali - mappa italiani
Il presidente francese François Hollande ha ribattuto: «La posizione della Francia è chiara. Nessuno coltivi l’illusione di approvare il Ttip prima della fine dell’anno». Perfino i tedeschi ormai danno per scontato che il Ttip slitti verso un orizzonte indeterminato. E quando tornano a casa, questi leader ritrovano un clima ben più teso e ostile verso la globalizzazione. Prima Brexit, poi l’elezione regionale in Germania, e la campagna elettorale americana: le quotazioni dei nazionalismi e dei protezionismi sono in rialzo ovunque.