Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
«Nessun imbarazzo: non abbiamo nulla da nascondere e non abbiamo fatto nessun favore a Tiziano Renzi. Tra l’altro la richiesta di revoca della garanzia non l’abbiamo fatta al padre del premier, ma al curatore fallimentare». Enrico Rossi, governatore della Toscana, si riferisce all’intricata vicenda sollevata da un consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli.
Nel 2009 la finanziaria della Regione Toscana Fidi concede una garanzia alla «Chil Post», che consente alla società di Tiziano Renzi, il padre del presidente del Consiglio, di ottenere dalla Bcc di Pontassieve un finanziamento da 700 mila euro. Garanzia all’80 per cento, perché la società era al femminile, intestata alla madre e alla sorella di Renzi. Pochi mesi dopo Tiziano torna azionista di maggioranza e in seguito la società passa all’imprenditore ligure Gian Franco Massone. E nel 2013 viene dichiarata fallita.
A luglio, la Fidi (ovvero, la Regione) chiede la restituzione del debito (34.951 euro), raddoppiato.
Rossi spiega il motivo: «Perché non erano rispettate più le condizioni. Nulla impedisce che una società cambi di proprietà. Ma la società ha cambiato sede e si è trasferita in Liguria. Quando ci è stato comunicato, abbiamo fatto le verifiche legali e abbiamo chiesto la revoca». C’è da dire che la comunicazione è stata presa in considerazione due anni dopo che era stata inviata, nel 2013, quando la società era già fallita. «È vero, si è persa in qualche ufficio e stiamo cercando di capire perché».
Non è l’unica stranezza. Perché la garanzia non fu firmata da un dirigente bancario qualunque ma dal padre di Luca Lotti, il quale subito dopo entrò nella segreteria dell’allora sindaco di Firenze. La Toscana è così piccola? «Può succedere — spiega il governatore — ma è solo una coincidenza. La sua firma è la conseguenza automatica di una decisione presa dalla Fidi. Noi abbiamo dato soldi, dal 2010 a oggi, a 5.400 imprenditori toscani. Soldi che hanno attivato un miliardo di euro nella fase peggiore della chiusura dei rubinetti alle imprese. È stato un grande aiuto alle imprese toscane. E le sofferenze sono assai inferiori rispetto a quelle delle banche. Quindi la Fidi ha lavorato bene».
La garanzia della Chil era all’80 per cento perché era una società al femminile. Però poi è subentrato Tiziano Renzi. «E cosa vuole che le dica? Il regolamento lo consente». Lei conosce personalmente il padre del premier? «Sì, l’ho visto qualche volta. Come diceva lei, la Toscana è piccola. Tiziano è un uomo dalla battuta facile, come il figlio d’altronde».
C’è da domandarsi, qualora non si fosse trattata del padre del premier, se voi avreste ugualmente chiesto la revoca. «Probabilmente non sarebbe successo nulla — spiega Rossi —. La vicenda sarebbe finita lì. E invece è stata strumentalizzata. Come si dice qui è finita in un rifrullo». Come a dire: di fronte ai probabili attacchi politici non si poteva far finta di nulla e si è chiesta una revoca della garanzia, anche se non è sicuro che porterà a qualcosa».
Rossi assicura di non avere avuto alcun contatto con il premier. «Assolutamente no. Noi facciamo tutto alla luce del sole. Quanto al padre di Renzi, credo che non abbia fatto nulla di molto diverso da quello che fanno tanti imprenditori». Ma c’è un’inchiesta in corso ed è indagato per bancarotta fraudolenta. «Vedremo cosa decideranno i giudici: le persone non si condannano prima. Con Renzi, Matteo, piuttosto parleremo di lavoro. Nella legge di stabilità va inserito un intervento serio per la lotta alla povertà, da collegare a misure di sostegno alle politiche attive per il lavoro. Solo Italia e Grecia non ce l’hanno. Servono fondi adeguati: si parla di un miliardo, ma sarebbe davvero troppo poco».