D. Gor per il Corriere della Sera
La tregua apparente nel Pd è durata ben poco e, già al secondo giorno della crisi di governo sollecitata da Matteo Salvini, si torna allo scontro fra la linea di Nicola Zingaretti e quella dei renziani.
Il segretario ribadisce che ormai non ci sono alternative alle urne e «noi siamo pronti». Lo ha ripetuto anche la sua vice Paola De Micheli: «Non esistono le condizioni politiche per un altro governo, almeno con il Pd: è quanto approvato all' unanimità dalla direzione nazionale 15 giorni fa. La manovra che ci aspetta, con i 23 miliardi per l' Iva, deve essere fatta dopo un chiaro mandato popolare».
Dall' altro versante, invece, si frena sulle elezioni facendo leva sulla responsabilità economico-finanziaria verso il Paese e sulle scadenze con l' Europa.
Per dirla con Dario Nardella, sindaco di Firenze, «il voto ravvicinato può essere un problema molto serio perché apre una situazione molto incerta a ridosso della legge di Stabilità. Quello di cui ha bisogno ora l' Italia sono certezze e stabilità». Cioè, tradotto dal politichese, un governo di transizione: e ben venga chi ci sta.
Poco importa che in passato i renziani siano stati i principali oppositori ad alleanze con i 5 Stelle. Perché, dopo la grande sconfitta referendaria del 2016, non si sono ancora riorganizzati in un' eventuale formazione extra Pd. E adesso, anche se tutto avviene all' insegna del «niente inciuci», è fondamentale avere più tempo prima di affrontare un appuntamento elettorale.
Già, il tempo, come ottenerlo? Si pensa a tecnicalità: come un «diritto» di precedenza della mozione pd di sfiducia a Salvini rispetto a quella del ministro dell' Interno contro il presidente del Consiglio.
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Si fa pressione sul segretario: ricordando che in Parlamento i rapporti di forza tra le componenti del Pd non sono a suo favore; e seminando dubbi su chi correrà per Palazzo Chigi: «Zingaretti ha vinto il congresso ed è il candidato di tutto il Pd alla guida del governo - dice il senatore Francesco Verducci, membro della direzione -. Se però, per sua scelta, decidesse di volersi dedicare esclusivamente al partito, allora le primarie di coalizione sono irrinunciabili».
Si spera persino nel Quirinale: «Sappiamo che a Mattarella, come a noi, stanno a cuore le esigenze del Paese e non le convenienze dei partiti: occorre mettere in sicurezza l' Italia e fare in modo che i cittadini non siano travolti dal vortice della crisi», ha affermato Graziano Delrio in un' intervista al Mattino .
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Fino a domani, quando i senatori pd si riuniranno per decidere l' atteggiamento da portare nella capigruppo, il partito naviga nell' incertezza. E intanto le sirene grilline cantano: «Prima di tutto - scrive Luigi Di Maio - tagliamo 345 parlamentari e i loro stipendi. Facciamo questa legge. Che sia la Lega, il Pd, Forza Italia o chiunque altro ad appoggiarla non ci importa».