Estratto dell'articolo di Lorenzo Lamperti per "La Stampa"
xi jinping vladimir putin narendra modi - vertice brics a Kazan
Lo chiamano il monte Everest dei fiumi. È il corso d'acqua più alto al mondo, con una media di quattromila metri. Corre tra Tibet e Himalaya, prima di fare una drammatica inversione a U e scendere vertiginosamente di 2700 metri attraverso tunnel e canyon, confluendo nel Brahmaputra. Il fiume in questione si chiama Yarlun Tsangpo e potrebbe presto diventare il fulcro di una disputa tra i due Paesi più popolosi della terra: Cina e India.
Nei giorni scorsi, è stato annunciato un accordo per la gestione della sezione occidentale dell'enorme confine conteso, utile a spianare la strada al primo bilaterale ufficiale in 5 anni tra Xi Jinping e Narendra Modi. Al summit dei Brics di Kazan, il presidente cinese e il premier indiano hanno detto di voler normalizzare i rapporti. Ma la sensazione è che non sarà semplice evitare acque burrascose, anche a causa proprio delle risorse idriche.
Pechino sarebbe vicina a completare lo studio di fattibilità per la costruzione della mega diga di Motuo, che i media indiani chiamano enfaticamente "la madre di tutte le dighe". Del progetto si parla da tempo, ma il cambio di marcia è arrivato nel 2021, quando nell'ultimo piano quinquennale del Partito comunista è apparso l'obiettivo strategico di «sfruttare il potenziale idroelettrico del corso inferiore dello Yarlun Tsangpo». [...]
L'India è però preoccupata che la diga possa diventare una straordinaria arma politica. Stando a valle, Nuova Delhi teme che Pechino possa controllare il flusso del fiume, trattenendo o rilasciando acqua. Con conseguenze potenzialmente notevoli su economia, sicurezza alimentare e rapporti di forza. La Cina sostiene di non avere intenzione di deviare l'acqua, ma questo non ha placato le preoccupazioni dell'India, che sta lavorando a una "contro diga" da 11 mila megawatt sul fiume Siang. L
'obiettivo è creare uno stoccaggio d'acqua sufficiente a ridurre l'impatto di una eventuale crisi idropolitica. I rischi al confine sino-indiano sono particolarmente accentuati, visto che l'area conserva una delle maggiori risorse idroelettriche non sfruttate del pianeta, mentre la tensione alla frontiera resta irrisolta.
Nel giugno 2020 e novembre 2022 ci sono stati i primi scontri tra truppe dei due Paesi dal 1975, con diverse decine di morti da entrambe le parti. Prima della parziale distensione dei giorni scorsi, Xi ha dato uno smacco a Nuova Delhi non presentandosi al G20 indiano del 2023, e nel frattempo lavora all'ampliamento della rete stradale nella regione e ha fatto rinominare in mandarino alcune località sotto controllo indiano. Modi ha previsto l'invio di migliaia di nuovi soldati, fa costruire nuove strutture e cerca il sostegno dei mezzi tecnologici degli Stati Uniti.
Difficile immaginare che la nuova intesa, la cui portata e tenuta restano tutte da verificare, possa cancellare questi sviluppi ed evitarne di nuovi. Anche perché sullo sfondo, oltre all'acqua, resta anche la spinosa vicenda della successione del Dalai Lama, su cui sia il governo tibetano in esilio che il Partito comunista rivendicano il diritto di scelta. Tenzin Gyatso si trova da decenni proprio in India e negli ultimi anni è stato spesso inviato non lontano dalla frontiera.
Pechino, che lo considera un separatista, teme che la questione possa essere usata dall'India per creare instabilità in Tibet. Tra tutti questi ingredienti, l'acqua potrebbe diventare il principale. D'altronde, diversi esperti prevedono che in futuro l'accesso alle risorse idriche sarà più importante di quello a petrolio e gas, diventando dunque il fulcro della competizione globale tra Paesi.
narendra modi xi jinping con la moglie