Giovanni Orsina per “la Stampa”
Siamo arrivati al voto come peggio non avremmo potuto. Innanzitutto sarebbe stato meglio affrontare un autunno che si prevede assai difficile e la sessione di bilancio con un gabinetto guidato da Mario Draghi, e chiudere la legislatura in maniera ordinata. La crisi di governo, poi, ha avuto dei passaggi grotteschi che certo non hanno contribuito ad accrescere la credibilità già bassissima del ceto politico. Infine, l'uscita di scena di Draghi e la prospettiva delle urne hanno ulteriormente innalzato i già elevati livelli di isteria e catastrofismo della sfera pubblica italiana.
Come se si trattasse della fine del mondo. Ma isteria e catastrofismo fanno male all'Italia, non soltanto perché radicalizzano l'opinione pubblica, ma soprattutto perché trasmettono al di fuori dei nostri confini il messaggio che il Paese è ormai sull'orlo dell'abisso. La nostra immagine internazionale così s' indebolisce, e la debolezza a sua volta fa sì che l'orlo dell'abisso si avvicini, come nelle più classiche profezie che si auto-avverano.
Tenere sotto controllo l'isteria e il catastrofismo, tuttavia, non vuol dire rifiutarsi di vedere quanto complesso e pericoloso sia diventato da ultimo il mondo nel quale viviamo. E non può impedirci di sperare allora, con un ottimismo alquanto irragionevole, che questa campagna elettorale si dimostri infine più seria del modo in cui è cominciata.
La destra italiana è poco seria dal 1994, e si dura gran fatica a sperare che rinsavisca dopo quasi trent' anni.
giorgia meloni silvio berlusconi matteo salvini renzi quirinale by macondo
La poca serietà di Silvio Berlusconi, in realtà, rappresenta da sempre una parte integrante del suo messaggio, un modo per negare alla politica importanza e solennità, per segnalare agli elettori che la vita è altrove, nella famiglia, nella società civile, nel mercato. Matteo Salvini sembra aver ereditato il dadaismo del Cavaliere, ma con un'aggiunta di radicalismo che lo ha reso meno lieve e, in fin dei conti, meno simpatico. Giorgia Meloni - che l'altroieri, intervistata dalla Stampa, ha invocato più volte la serietà - non condivide invece la leggerezza dei suoi compagni d'avventura. Le sue radici affondano nel cuore del ventesimo secolo, del resto, il secolo dell'iper-politica, mentre gli altri due sono figli della fase terminale del Novecento, segnata dall'antipolitica e dal populismo.
Il problema della serietà nel caso di Meloni si pone allora in una forma diversa, ma che vale del resto pure per Salvini e Berlusconi. A farla molto breve: la politica italiana ha qualche (modesto) spazio di movimento, ma non può avventurarsi al di fuori di un perimetro ben preciso. Non solo: non può nemmeno permettersi che sorgano dubbi rispetto alla sua volontà di restare all'interno di quei confini, non può dire che vorrebbe uscirne o far finta di uscirne, nemmeno per scherzo.
Il perimetro ha una forma triangolare, ed è fatto di lealtà atlantica, volontà di partecipare costruttivamente alla vita dell'Unione europea, determinazione a non destabilizzare l'euro - con tutte le conseguenze di finanza pubblica che ne derivano. Potremmo chiamarlo, appunto, «perimetro della serietà», perché non è serio raccontare agli elettori che se ne possa prescindere sapendo che non si può, o senza dire loro quale prezzo si pagherebbe se non se ne tenesse conto.
L'Italia del dopo 25 settembre non può permettersi - non lo può: è un dato di fatto semplice e duro come la pietra - di avere un governo che non dia la massima garanzia di voler restare nel perimetro della serietà. Berlusconi, Salvini e Meloni, in forme, su fronti e a livelli d'intensità differenti, hanno tutti e tre gettato un occhio, e talvolta ben più di un occhio, al di fuori di quel perimetro. La prova di serietà che si chiede loro è che da qui al 25 settembre dissolvano ogni dubbio, facciano piazza pulita di qualsiasi ambiguità su tutti e tre i lati del triangolo. Il Partito democratico e le forze politiche centriste sono certamente, interamente all'interno del perimetro della serietà.
Il loro problema, del Pd in particolare, è che danno l'impressione di voler fare ben poco oltre a stare immobili al centro del poligono, e paiono pensare che garantire di restarci sia condizione non soltanto necessaria ma anche sufficiente del loro fare politica. La serietà, così, è diventata fine a se stessa, si è trasformata in un vessillo, un alibi, un mezzo di conservazione del potere.
E, infine, in uno strumento di delegittimazione della destra. Perché la serietà potesse svolgere quest' ultima funzione, però, le forze politiche e culturali «serie» hanno dovuto dilatarne il perimetro, tirarlo dalla propria parte, esasperare i toni e denunciare sconfinamenti e violazioni anche là dove non ce n'erano. E tutto questo, in definitiva, è stato terribilmente poco serio. Perfino meno serio, per certi versi, che promettere un milione di alberi.
BERLUSCONI SALVINI MELONI BY BENNY
Soprattutto, tutto questo ha contribuito all'isterismo e al catastrofismo dei quali si diceva sopra, e al rischio che l'Italia si trovi intrappolata in una profezia di sventura che si auto-avvera. Che il destra-centro si collochi all'interno del perimetro della serietà, e che questa sua collocazione sia chiaramente percepita anche all'estero, è interesse di tutti. Se così non fosse e il destra-centro dovesse vincere le elezioni e arrivare al governo, l'Italia ne sarebbe enormemente indebolita in un momento storico molto difficile e le istituzioni democratiche ne sarebbero messe ulteriormente sotto pressione. Qualcuno sulla sinistra e al centro potrebbe approfittarne, nel breve periodo. Ma avrebbe ben poco di cui gloriarsi.