PETROCELLI CHE ROTOLANO – IL SENATORE GRILLINO E FILO-RUSSO, SOPRANNOMINATO “PETROV”, HA FATTO DI TUTTO PER FARSI ESPELLERE DAL MOVIMENTO 5 STELLE. ALLA FINE CI È RIUSCITO CON IL TREMENDO TWEET CON LA Z DI PUTIN. MA RIMARRÀ PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ESTERI DEL SENATO. NON SI PUÒ SOSTITUIRE, A MENO CHE NON INTERVENGA LA CASELLATI SUL REGOLAMENTO, O SI DIMETTA SPONTANEAMENTE (MA NON NE HA LA MINIMA INTENZIONE…)

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Federico Capurso per “La Stampa”

 

GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI

Una provocazione oscena. E per metterla in pratica, al senatore Vito Petrocelli è bastato un tweet. Anzi, una sola lettera, la «Z», usata dai soldati russi per riconoscersi, diventata simbolo del sostegno alla guerra di Vladimir Putin, usata in Russia per marchiare la porta delle case degli oppositori, e da Petrocelli candidamente inserita nei suoi auguri social di «buona festa della LiberaZione».

 

Una Z maiuscola che, in un colpo solo, infanga la festa della liberazione italiana dal nazifascismo e pone un problema politico enorme rispetto al ruolo che Petrocelli ricopre, di presidente della commissione Esteri a palazzo Madama.

 

L'imbarazzo silenzioso dei Cinque stelle, che increduli fanno rimbalzare il tweet nelle chat interne, viene rotto dalla reazione del leader, Giuseppe Conte, che annuncia la cacciata di Petrocelli dal partito: «E' fuori dal Movimento 5 Stelle. Stiamo completando la procedura di espulsione. Il suo ultimo tweet è semplicemente vergognoso. Il 25 aprile - prosegue Conte - è una ricorrenza seria. Certe provocazioni sono inqualificabili».

IL TWEET DI PETROCELLI CON LA Z DI PUTIN IL TWEET DI PETROCELLI CON LA Z DI PUTIN

 

L'ex premier è furioso. La posizione di Petrocelli è per lui l'ennesimo inciampo provocato dai suoi parlamentari nel tentativo, finora faticoso, di spedire nel dimenticatoio le vecchie fascinazioni filorusse. «Va isolato», è l'ordine che parte dai vertici dopo il tweet di Conte.

 

vito petrocelli 6 vito petrocelli 6

E un attimo dopo, infatti, si alza il fuoco di fila dei big. «Non ho più parole», dice la vicepresidente del Senato Paola Taverna, «quella tua Z offende i valori su cui si fonda la nostra democrazia, offende chi è morto per la libertà, anche per la tua. Offende te, senatore della Repubblica nata dalla Resistenza».

 

Si associa l'europarlamentare Fabio Massimo Castaldo e il sottosegretario all'Interno Carlo Sibilia, che oltre alla «sacrosanta espulsione» chiede un passo in più: «Il buon senso vorrebbe che lasciasse subito anche la presidenza della Commissione Esteri del Senato».

 

carlo sibilia carlo sibilia

«Dimissioni», è l'invocazione che arriva da tutte le forze parlamentari, da Fratelli d'Italia a Leu, ma è difficile - quasi impossibile - imporre le dimissioni a un presidente di commissione. Il Pd, con il suo capogruppo in commissione, Alessandro Alfieri chiede che «intervenga la presidente del Senato, Elisabetta Casellati».

 

ALESSANDRO ALFIERI ALESSANDRO ALFIERI

 E c'è chi invece, in Italia viva, ripropone di boicottare i lavori della commissione, un assedio per costringere Petrocelli a lasciare, ma lui è sembrato finora impermeabile a ogni attacco. Anche ora che è impossibile, di fronte all'evidenza, negare la sua posizione filorssa, in aperto contrasto con la politica estera del governo e della maggioranza parlamentare.

 

Che Petrocelli fosse vicino a Mosca era questione nota da anni, dai tempi delle sue trasferte all'ombra del Cremlino. Anzi, Petrocelli era lì a ricordare a tutti cos' era il Movimento del 2018, fermo sulle sue idee, anche dopo l'invasione criminale dell'Ucraina da parte di Putin.

vito petrocelli 5 vito petrocelli 5

 

Alcune settimane fa aveva provato a nascondersi - «non sono filorusso, sono filocinese» - dopo aver votato contro l'invio in Ucraina di aiuti militari e di sostegno alla popolazione civile. Ma anche quella aveva, più che altro, il sapore di una provocazione.

 

Dopo il voto, infatti, aveva lanciato un appello a uscire «da questo governo interventista, che vuole fare dell'Italia un paese co-belligerante», annunciando poi che non avrebbe più votato la fiducia al governo Draghi: «La mia disciplina di partito è andata a sbattere contro le scelte di guerra». E insieme alla disciplina, alla fine, è andato a sbattere anche lui.

 

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