IL PIANO DI MELONI PER USCIRE DALLA VIA DELLA SETA (SENZA CREARE STRAPPI CON LA CINA) – WASHINGTON PREME CON GLI ALLEATI PER UN “ATTEGGIAMENTO PIÙ RISOLUTO E MENO AMBIGUO” VERSO PECHINO. L’UE, MANCO A DIRLO, È DIVISA. FRANCIA E GERMANIA, PUR NON AVENDO ADERITO AL PROTOCOLLO CINESE, TEMONO “PESANTI CONTRACCOLPI ECONOMICI” - IL SUGGERIMENTO DI MATTARELLA PARE SIA STATO DI “ROMPERE CON LA CINA SENZA INTERROMPERE GLI SCAMBI COMMERCIALI E COSTRUENDO NUOVI ACCORDI COME HANNO FATTO PARIGI E BERLINO”

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Estratto dell'articolo di Francesco Verderami per il Corriere della Sera

 

meloni xi jinping meloni xi jinping

Lasciare la Via della Seta senza creare strappi con la Cina è più facile a dirsi che a farsi. Il modo meno traumatico sarà farlo (quasi) senza dirlo. Che poi è questa la strada intrapresa da Giorgia Meloni, confortata nell’idea dopo un confronto con Sergio Mattarella.

 

La scorsa settimana, il tradizionale pranzo al Quirinale che precede i vertici europei è stato consumato parlando anche del Memorandum che dal 2019 lega Roma a Pechino. E che la premier — come aveva anticipato Marco Galluzzo sul Corriere — non intende rinnovare a fine anno. Le motivazioni sono molteplici, descritte nei dettagli da un report della Farnesina, dove si rammenta come i rapporti tra l’Occidente e il Dragone restino «molto tesi» e come Washington insista con gli alleati per un «atteggiamento più risoluto e meno ambiguo» verso la Cina.

 

L’Unione, manco a dirlo, è divisa. Da un lato ci sono i Paesi dell’Est europeo, favorevoli a una linea dura: tanto che l’Estonia ha già fatto sapere ai partner di voler abbandonare la Via della Seta. Dall’altro c’è il blocco guidato da Francia e Germania, nazioni che pur non avendo aderito al Protocollo cinese temono «pesanti contraccolpi economici».

 

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È il tema affrontato al Colle da Meloni, che oltre le pressioni degli Stati Uniti deve fronteggiare quelle degli industriali. E deve fare i conti con «i costi enormi» per l’economia del Paese che una crisi delle relazioni con Pechino potrebbe provocare. La premier è consapevole che il passo è scontato, siccome l’Italia è l’unica rappresentante del G7 ad aver firmato l’intesa con la Cina, «rivale sistemico» dell’Occidente.

Ma negli sforzi che Roma sarà chiamata a fare, Palazzo Chigi si aspetta una forma di «reciprocità» da Washington.

 

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Meloni l’ha fatto capire nel discorso pronunciato all'Assolombarda, dove per tranquillizzare gli imprenditori ha detto che «il tentativo degli Stati Uniti di rendersi più indipendenti da Pechino offre a noi l’opportunità di porci come fornitore alternativo». È stato un modo per parlare a nuora perché suocera intendesse.

 

Ora però c’è da prepararsi ad abbandonare la Belt and Road Initiative . L’interpretazione ricavata dai rappresentanti del governo presenti al Quirinale è che il suggerimento di Mattarella sia stato di «rompere con la Cina senza interrompere gli scambi commerciali», smontando ciò che c’è (il Memorandum) e sostituendolo con ciò che serve: ovvero — spiega un ministro — «costruendo nuovi accordi come hanno fatto Parigi e Berlino». Servirà abilità diplomatica con Xi Jinping per riuscire nell’intento: «Lo faremo carezzevolmente», promette un esponente dell’esecutivo. Versione onirica del «pragmatismo» a cui si è riferita invece Meloni...

 

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