Estratto dell’articolo di Enzo Moavero Milanesi per il “Corriere della Sera”
In Europa, si avvicina il momento del voto per rinnovare il Parlamento europeo. […] Le elezioni europee sono di sicuro essenziali e imprescindibili per la vita dell’Unione. Ma dobbiamo anche pensare che si configurino in concreto come quelle nazionali e magari, che vadano collocate su un piano superiore? A ben vedere, la risposta non è affatto evidente […] Tre considerazioni base possono aiutare a orientarsi.
La prima è che il nostro voto di giugno definirà i rapporti di forza nell’emiciclo del Parlamento europeo, però non varrà a esprimere una vera e propria maggioranza di governo, nel senso classico che conosciamo in Italia e nei contesti democratici. Infatti, il concetto di «governo» Ue non è univoco. Le decisioni cruciali restano nelle mani degli Stati membri.
L’oggettiva guida politica di fondo ce l’ha il Consiglio europeo che riunisce i vertici dei rispettivi governi e che nello scorso quindicennio ha parecchio ampliato il suo spazio di azione. Il potere esecutivo, in senso stretto, è ripartito fra Commissione e Consiglio, quest’ultimo responsabile dei nevralgici settori degli affari esteri e della difesa. Il Parlamento non ha alcun potere su Consiglio europeo e Consiglio.
Viceversa, vigila sulla condotta della Commissione, può destituirla nel corso del mandato e ne approva la nomina iniziale, ma la sua composizione scaturisce dalle indicazioni dei vari governi nazionali. Non è, dunque, giustificato presumere che il futuro governo dell’Unione, le sue priorità politiche generali dipendano dal risultato elettorale. Con l’assemblea europea proseguirà il doveroso dialogo, ma le scelte risolutive continueranno a farsi altrove: di conseguenza, che sia più di centro, di destra o di sinistra non ha per nulla le stesse ovvie implicazioni che avrebbe al Senato e alla Camera in Italia.
La seconda considerazione riguarda l’attività legislativa Ue che è intensa e pervasiva, seppure caratterizzata da specificità emblematiche. Da un lato, ai parlamentari è negata la facoltà di proporre nuove normative, perché è attribuita solo alla Commissione. Dall’altro lato, è il Consiglio che adotta quelle nodali di maggiore sensibilità (come in tema di: circolazione delle persone, bilancio pluriennale Ue, fiscalità, tutela della concorrenza), con il Parlamento che resta in posizione ausiliare e per giunta, al Consiglio occorre un consenso all’unanimità che dà a ogni Stato un diritto di veto.
La terza considerazione completa la precedente: se si guarda agli atti legislativi Ue, in media, l’80% richiede il concorso paritetico di Parlamento e Consiglio. Le materie sono rilevanti (industria, agricoltura, economia, energia, lavoro, ambiente…) e coinvolgono la piena potestà dei deputati.
Le discussioni fra loro sono vivaci e lo sono altrettanto quelle tra le due istituzioni, tenute a cercare una convergenza. In genere, le soluzioni sul tavolo hanno una natura oltremodo tecnica: si va molto nel dettaglio, fra gli opposti stimoli delle lobby. Per essere influenti, è fondamentale avere una valida preparazione base, studiare i documenti, frequentare sedute e dibattiti: servono perizia, diligenza, pragmatismo e alla fin fine, gli a priori ideologici contano poco.
Alla luce di queste riflessioni, credo si comprenda che potrebbe essere fuorviante indirizzare il proprio voto per il Parlamento europeo, ragionando nei termini consueti, abituali in sede nazionale e locale, di una gara fra partiti che se vincono governano. Così facendo, si sfiora il rischio di limitarsi a intervenire in un mega sondaggio reale sugli equilibri domestici. […]