Marco Alfieri per "la Stampa"
ROBERTO FORMIGONI«Roberto resisterà a oltranza. Non ci sono alternative per lui né per il partito nella rotta in cui siamo. E poi una sua caduta per via giudiziaria minerebbe persino la navigazione del governo Monti. Stiamo parlando della Lombardia...», riassume lapidario un pidiellino di peso. La condanna inflitta a Pierangelo Daccò, il faccendiere amico e compagno di yacht del governatore Formigoni e di casa al Pirellone, era certo nell'aria ma non di queste proporzioni: il pm aveva chiesto 5 anni e 6 mesi di carcere, il Gup di Milano l'ha raddoppiata a 10 in rito abbreviato. «I suoi addebiti sono più gravi di quel che si pensasse...».
Ieri a Milano la scossa di terremoto in Emilia si è sentita forte e chiara. In cima al Pirellone anche di più. Consiglieri di maggioranza imbarazzati e silenti e l'opposizione unita (Pd, Idv e Sel) che torna a gonfiare il petto: «Situazione insostenibile, Formigoni rassegni le dimissioni. Gli affari illeciti di Daccò nella sanità non sono più solo una tesi dell'accusa, come il presidente ama ripetere. Ribadiamo la necessità che si vada al più presto al voto in Lombardia».
FORMIGONI SULLO YACHT DI DACCOUn leghista alto in grado che ieri lo ha incrociato descrive il «Celeste» come «poco sereno, nervoso». A metà pomeriggio gli va di traverso persino il titolo dell'Huffington Post che riporta una mezza frase confidata ai fedelissimi: «Non sono Fiorito», dunque non mi dimetto. Formigoni nega di averla pronunciata e pretende la smentita dal giornale telematico di Lucia Annunziata: «La vostra ricostruzione è assolutamente fasulla».
Dando il senso del bunker in cui è rinchiuso da mesi. La pressione per gli scandali è sempre più forte; «anche se il Pdl è talmente scassato tra Laziogate, guerra per bande e il limbo del Cavaliere che mollare adesso il fortino lombardo equivarrebbe a suicidarsi», ripete qualche generale pidiellino. «Dobbiamo difenderlo anche se spesso ci attacca, se togliamo il dito dalla diga del Pirellone, frana tutto...».
DACCO' - FORMIGONISalvo clamorose escalation della Procura, si tirerà così fino a primavera, magari andando al voto anticipato insieme alle Politiche. Le mosse di queste ore sembrano tutte in questo senso: dalla richiesta di processo per il consigliere regionale Filippo Penati, ex capo della segreteria politica di Bersani, all'annuncio che Nicole Minetti non si dimette fino alla condanna di Daccò.
BERLUSCONI E MARONI A MONTECITORIONel frattempo la linea del Pirellone è troncare e sopire. Regione Lombardia è «totalmente estranea e la sinistra specula, in maniera infondata e vigliacca», spiega una nota ufficiale. «A sedici mesi dall'apertura delle indagini sul San Raffaele la magistratura non ha sollevato nessun addebito nei confronti di nessun esponente e di nessun atto della Regione», si tratta infatti «di malversazione di denaro privato tra privati. Nessun euro dei cittadini lombardi è stato sprecato nella nostra regione».
Matteo SalviniCome dire questo è il crac del San Raffaele, Formigoni è indagato per corruzione in concorso con l'amico Daccò ma sullo scandalo della clinica Maugeri. Separiamo i campi. Resistere è la linea del Piave.
La stessa Lega per ora resta in riva al fiume. Il segretario lombardo Matteo Salvini ha postato su Facebook la sua versione, invitando i giudici «a lavorare bene e in fretta». E «se in futuro Formigoni venisse giudicato colpevole di qualcosa... a casa!». A taccuini chiusi un generale leghista svolge così il tema: «Vedremo le motivazioni della condanna: se i reati commessi da Daccò siano stati o meno favoriti da abusi regolatori di Regione Lombardia che lo hanno favorito. In quel caso cambierebbe tutto... ».
Per ora il Carroccio non stacca la spina. «Comportamenti e frequentazioni di Formigoni sono molto discutibili, ma la verità è che sta scomparendo il Pdl. Lasciamoli macerare, politicamente per noi è tutta manna...».
Anche dentro Cielle la posizione di Formigoni appare sempre più in declino. Già al Meeting di Rimini l'autodifesa del governatore, che tirò persino in ballo il Papa e le sue preghiere, creò più di un imbarazzo ai vertici del movimento. Ieri c'era chi ricordava l'intervista anti berlusconiana ad Avvenire dell'europarlamentare Mario Mauro, ciellino in grande ascesa, l'unico citato dal premier Monti nel suo intervento riminese. La sua intervista è finita nella rassegna stampa del mensile di area «Tracce» che non riprende quasi mai cose politiche. Segnali deboli che contano...