Francesca Schianchi per ''La Stampa''
«Io candidato a qualcosa in Europa? Io sono un cittadino fiorentino, italiano ed europeo e combatto con tutte le mie energie la battaglia per l' Europa senza essere candidato». Passeggia davanti al piccolo comitato elettorale di Dario Nardella, l' ex segretario dem Matteo Renzi. Camminando su e giù davanti alle vetrine arancioni che rilanciano a caratteri cubitali lo slogan «Firenze è la città che siamo» conversa con una radio transalpina.
È con loro, con Rtl France, che nega di avere velleità nella nuova commissione e consegna i primi commenti di queste elezioni, dopo averne discusso solo in privato coi suoi, al telefono e qui al primo piano di questo comitato che trabocca di entusiasmo (il suo delfino alla guida della città viene confermato sindaco al primo turno, per propria ammissione «oltre ogni più rosea aspettativa»).
Matteo Renzi e Massimo D Alema
«Salvini ha chiaramente vinto, vedremo cosa saprà fare. Dal punto di vista amministrativo però se qualcuno aspettava una risposta chiara e forte alla Lega, beh questa risposta arriva da città come Firenze», poche parole per compiacersi della performance dei "suoi" sindaci. Nardella, appunto, ma anche Giorgio Gori a Bergamo, Antonio Decaro a Bari. Quelli di cui più si era preoccupato in questa campagna elettorale: «Sto seguendo soprattutto quelli a cui avevo chiesto io qualche anno fa di dimettersi da parlamentari per candidarsi», come appunto Decaro e Nardella, ricordava con alcuni amici a pochi giorni dalle urne.
E a loro attribuisce la miglior risposta alla Lega: guarda caso, a vittorie di segno renziano. Perché per il resto, all' indomani del voto delle Europee, quello che evita accuratamente di commentare è il risultato del suo partito, del Pd. Di quel 22,7 per cento accolto come una ripartenza dai vertici attuali, dopo il suo striminzito 18,7 delle politiche; di quell' agognato sorpasso agognato sui Cinque stelle. Un silenzio eloquente, però, perché altri parlano per lui. Sono i suoi luogotenenti più fedeli a dire quello che lui pensa ma non vuole ancora dire.
Che quei voti, quei sei milioni, sono gli stessi, anzi centomila in meno, che aveva preso lui nel 2018, come scrive Roberto Giachetti su Facebook, e alla sensata obiezione che però l' affluenza delle Europee è più bassa, si risponde, come fa Luciano Nobili, che «tradizionalmente l' affluenza bassa non penalizza noi, e forse mettendo tutto insieme inclusi Calenda che alle politiche stava con PiuEuropa e una parte di Leu, ci si aspettava di meglio». O, ancora, che i renziani sono messi da parte: cerca di sottolinearlo Michele Anzaldi, postando la foto scattata al Nazareno cinque anni fa con dirigenti di tutte le correnti, e quella diffusa ieri, con Zingaretti e Gentiloni, «c' è solo il vertice».
Nelle ultime settimane, l' ex premier si era convinto che sarebbe andata bene per il Pd.
«Sarà un voto per chi vuole un' alternativa al governo, è naturale quando sei all' opposizione - spiegava ai suoi accorsi a salutarlo al Tempio di Adriano, in campagna elettorale - e poi c' è il dato dell' affluenza, che alle Europee è sempre più bassa». La percentuale raggiunta è più o meno quello che si aspettava. Il punto, ora, è come andare avanti. «Ci vuole una seria riflessione su cosa deve fare il Pd», dice Giachetti.
Il 15 e 16 giugno, l' associazione nata dalla sua mozione si riunirà ad Assisi. Il 5 e 7 luglio, sarà la corrente dei renziani Lotti e Guerini a riunirsi a Montecatini Terme. Renzi è ovunque invitato, ma non parteciperà. Per ora, si tiene lontano da iniziative di corrente, professa lealtà, non attacca il segretario. Ma della necessità di un nuovo centrosinistra ha già parlato, e il suo attivismo di fine campagna elettorale ha portato molti a interrogarsi sui suoi progetti. L' idea di un suo partito di centro capace di allearsi al Pd non è mai stata del tutto scartata, tanto più che persino qualcuno vicino a Zingaretti gli ha fatto riservatamente sapere di non vedere con sfavore l' ipotesi. Ma, se sarà, sarà «prima delle politiche», come lui stesso ha detto, non adesso. Per ora resta a guardare. E applaude (solo) alle vittorie targate Renzi.
michele anzaldi sandro gozi graziano delrio Renzi e Gentiloni