Estratto dell’articolo di Simonetta Fiori per “la Repubblica”
La fragilità crescente della democrazia, in Italia e nel mondo. Il futuro dell’Europa, in bilico tra due diverse concezioni della sovranità. Il rapporto del governo con gli istituti di garanzia e le grandi manovre per la Corte Costituzionale: la destra oggi al governo darà prova di saggezza democratica? A conversazione con Giuliano Amato […]
«[…] Vedo tracce di una fragilità crescente della democrazia nel nostro paese, ma le vedo ancor di più negli Stati Uniti. Ora il disfacimento di alcuni fili importanti della nervatura democratica può portare a un indebolimento delle istituzioni, ma non vedo quel rischio autoritario denunciato da Stiglitz e Prodi […] la mia impressione è che ci sia un timore precostituito legato alle origini fasciste di buona parte di questa destra».
Ma non è opportuno che Fratelli d’Italia faccia i conti con le sue radici nere, riconoscendo l’antifascismo?
«Sì, questo è un punto non negoziabile. È impensabile che governanti e cariche istituzionali che giurano fedeltà alla Costituzione non riconoscano l’antifascismo. Senza l’antifascismo non ci sarebbe la Costituzione.
Se non avessimo avuto la Resistenza e la classe dirigente che ne è figlia, saremmo stati considerati come la Germania: solo un Paese sconfitto, la cui Costituzione venne scritta non da un’Assemblea costituente eletta da tutti i cittadini, ma da un ristretto consesso sotto lo sguardo vigile dei Paesi occupanti. Un’umiliazione che a noi è stata risparmiata. […]».
MANFRED WEBER INCONTRA GIORGIA MELONI A PALAZZO CHIGI - 11 NOVEMBRE 2022
Perché Giorgia Meloni fa fatica a riconoscerlo?
«Perché dentro il suo partito resistono ancora robusti residui della cultura fascista. Sono assolutamente convinto che se ne dovrebbe liberare al più presto. Altrimenti non può sperare di ricevere lo stesso trattamento di chi s’è liberato di pesanti eredità, in Italia e in Europa».
Lei si riferisce alla resistenza dei popolari tedeschi a fare accordi con chi non ha rotto con l’eredità fascista. Una delle condizioni poste dal capogruppo europeo Manfred Weber è la soppressione della fiamma neofascista di Almirante che continua a contrassegnare il simbolo di Fratelli d’Italia. Ma il partito non è convinto di questa amputazione.
CHARLES MICHEL GIORGIA MELONI VIKTOR ORBAN - CONSIGLIO EUROPEO 15 DICEMBRE 2022
«Chi non ha conosciuto la Germania non si rende conto di quanto serio e profondo sia stato l’esame di coscienza antinazista. […] questa destra deve fare i conti con il fascismo con lo stesso rigore con cui i cristianodemocratici li hanno fatti con il nazismo […]».
Il disegno della presidente Meloni, in vista delle elezioni del prossimo anno, è guidare in Europa uno schieramento che metta insieme popolari conservatori e destra sovranista. Che cosa accadrebbe se vincesse questa destra antieuropea?
«Non sarebbe un esito auspicabile. Ma io preferisco soffermarmi su un possibile percorso alternativo. La destra italiana è in mezzo a una contraddizione. Da un lato assistiamo a una deriva che è figlia della sua storia, precedente all’esperienza di governo: l’alleanza con Orbán ne è la prova più evidente.
MANFRED WEBER A PALAZZO CHIGI PER INCONTRARE GIORGIA MELONI
Dall’altro lato è in atto una controtendenza moderata che spinge la stessa destra ad avere un ruolo di primo piano nell’Unione europea. Ma un ruolo di primo piano non lo eserciti stando al fianco di Orbán. Sarebbe una politica suicida. Il premier che non vuole popoli di razza mista non vale la Francia o la Germania, suvvia».
Eppure al momento resiste l’accordo con Orbán.
«[…] sarebbe sbagliato non vedere anche l’altro percorso europeo, con le sue indiscutibili convenienze. Con un debito pubblico ancora altissimo e un’economia a rischio anche a causa dei ritardi del Pnrr, in che condizioni si troverà l’Italia tra un paio d’anni?
Noi abbiamo bisogno dell’Europa. E l’Europa nutre ancora diffidenza nei nostri confronti. Converrà alla Meloni schierarsi con Orbán o piuttosto mettere al riparo la nostra economia? Senza contare che con la scomparsa di Berlusconi dalla scena pubblica s’apre, per chi ne ha il coraggio in questa destra, la porta per il centro politico. […]».
VIKTOR ORBAN GIORGIA MELONI AL CONSIGLIO EUROPEO
Una Meloni moderata e centrista sembra al momento più un auspicio che una realtà. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i gesti di insofferenza del governo verso gi istituti di garanzia, i poteri terzi e neutri. L’ultimo episodio riguarda la Corte dei Conti, privata per decreto del potere di controllo sul Pnrr.
«[…] Togliere completamente quel controllo della Corte dei Conti è un errore. Sarei stato più elegante: l’avrei ripristinato nel modo collaborativo in cui l’aveva pensato Brunetta, sopprimendo gli aspetti punitivi che spingono gli amministratori a non fare. E aggiungo: una modifica ordinamentale di questa natura non si fa con un emendamento a un decreto legge, questo è davvero criticabile. […]».
Non la inquietano le critiche alla Banca d’Italia, l’aggressione all’Ufficio Bilancio di Palazzo Madama che mostra i limiti dell’autonomia differenziata, l’assalto all’informazione pubblica?
«Mi sembrano tutti segnali di una scarsa dimestichezza con il complesso delle istituzioni indipendenti. Un test della maturità di questa destra lo avremo con le nomine alla Corte Costituzionale. Tra questo e il prossimo anno, scadranno quattro giudici indicati dal Parlamento. Vedremo se le nuove nomine saranno tutte espressione della maggioranza politica, alla quale mancano solo 11 voti per i 3/5 necessari».
URSULA VON DER LEYEN GIORGIA MELONI VIKTOR ORBAN - CONSIGLIO EUROPEO 15 DICEMBRE 2022
Un altro test sono le riforme costituzionali. Secondo il disegno di legge presidenzialista, proposto da Meloni prima di divenire premier, il presidente della Repubblica diventerebbe una figura iperpoliticizzata, non più garante di tutti.
«[…] In una società divisa come la nostra, molto più polarizzata rispetto a quella di quarant’anni fa quando io stesso ero sostenitore del presidenzialismo, una riforma del genere contribuirebbe a scavare le divisioni: il presidente eletto sarebbe espressione di una sola parte politica, riconosciuto dai suoi elettori e detestato dagli sconfitti. Una soluzione malvista dagli italiani, che amano una figura presidenziale super partes […]».
GIORGIA MELONI E LA CORTE DEI CONTI - VIGNETTA BY ROLLI
È rimasto in piedi il premierato.
«Ma anche nel caso del premierato, mi pare stia prevalendo una linea più morbida. È stata scartata infatti l’elezione solitaria del premier: davanti a un primo ministro che ha la legittimazione popolare diretta, la figura del capo dello Stato perderebbe la sua autorevolezza.
Quindi si sta andando verso una strada già battuta in passato, ossia la possibilità per i cittadini di indicare nella scheda per il Parlamento il leader che si vuole come presidente del Consiglio, con in più la fiducia parlamentare solo a lui e non anche ai ministri.
Sarebbe una riforma costituzionale molto limitata, probabilmente condivisa da buona parte del centro-sinistra, e che non andrebbe così al referendum che – come sa bene la presidente Meloni – è sempre un rischio per il governo».
LE TAPPE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA
In questo caso Meloni riuscirebbe a realizzare solo una piccola parte della sua riforma: non per sincera vocazione democratica, ma perché andrebbe incontro a una bocciatura degli elettori. E a proposito della sintonia con Orbán nella guerra contro gli omosessuali, arriverà presto in aula la legge già approvata in commissione che rende la maternità surrogata “reato universale”.
«Fui io a scrivere parole di fuoco contro la maternità surrogata nella sentenza della Corte Costituzionale. Lo ricordo perché non vorrei che l’attuale crociata della destra spinga il Pd a una sua difesa ad oltranza. La maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, come sta scritto nella sentenza».
PNRR - I DATI DELLA CORTE DEI CONTI
Condivido. Ma il reato universale?
«Sono assolutamente contrario perché porta la propria giurisdizione al di là di ciò che le è consentito, esponendola a una contraddizione[…]».
[…]