Federico Fubini per corriere.it
Che quello del gas sia il nuovo equilibrio del terrore di questa guerra tutt’altro che fredda in Europa, si è visto ieri alle 12 in punto. Da Berlino Olaf Scholz annuncia che negherà (per ora) la licenza di operare al nuovo gasdotto Nord Stream 2, il secondo che collega la Russia alla Germania dal Baltico aggirando Polonia, Ucraina e Bielorussia.
Fino a ieri mattina nel pacchetto preparato a Bruxelles per le sanzioni quella misura non era prevista, ma le parole del cancelliere tedesco trasmettono una scossa improvvisa al prezzo del gas naturale in Europa: in meno di due ore le quotazioni dei contratti su marzo si impennano del 7,6%, oltre gli 80 dollari per mille metri cubi (quando erano a 25 dollari nel maggio scorso).
vladimir putin firma il riconoscimento di donetsk e lugansk
L’equilibrio del terrore sul gas
Chi sta sul mercato teme che la mossa di Scholz diventi un anello in una catena di ritorsioni, che possono portare la Russia a razionare ancor più il metano all’Europa. Nella sua offensiva d’inverno, il piano del Cremlino include sicuramente l’idea di seminare insicurezza nell’Unione europea mettendo riempiendo i gasdotti meno di prima: da gennaio quello che dall’Ucraina arriva fino all’Italia trasporta circa 50 milioni di metri cubi al giorno - quattro o cinque volte meno rispetti che in anni normali - in modo che la scarsità crei nuovi rincari.
putin e il gasdotto south stream
Ma che quello del gas sia davvero un equilibrio del terrore, dove ogni parte può farsi male innescando un conflitto, si è visto ieri un paio di ore dopo la mossa di Scholz. Da Mosca Dimitri Medvedev, l’ex presidente ed ex premier, oggi vice di Vladimir Putin nel Consiglio di sicurezza russo, risponde al cancelliere con parole che vorrebbero suonare sarcastiche, sprezzanti, ricattatorie, invece sembrano solo grottesche: «Molto bene - scrive in un tweet che si fa tradurre in tedesco, reagendo allo stop di Nord Stream 2 -. Benvenuti nel nuovo mondo in cui gli europei molto presto pagheranno duemila euro per mille metri cubi di gas!».
Una minaccia simile dal più grande fornitore d’Europa, in teoria, doveva far salire le quotazioni ancor più e con esse la pressione su famiglie e imprese in Italia o in Germania. Invece, succede il contrario: i mercati ignorano gli avvertimenti di Medvedev e la quotazione scende un po’, chiudendo la giornata a 80 dollari esattamente com’era iniziata. Perché è chiaro ormai che quello del gas naturale fra Russia e Unione europea è un matrimonio ambiguo, infelice, da cui le parti non riescono a liberarsi. Entrambe miopi, non possono fare l’una a meno dell’altra mentre si disprezzano, si scambiano sanzioni e intanto fanno affari.
L’anno scorso la Russia ha ricevuto dall’Europa circa 50 miliardi di euro dall’Europa per il suo gas e almeno altrettanti per il petrolio (con l’Italia secondo compratore dopo la Germania). E poiché dal bilancio di Mosca undici rubli ogni cento sono spesi per l’esercito che oggi aggredisce l’Ucraina, senza capirlo gli europei contribuiscono finanziariamente a un’azione di guerra che viola il diritto internazionale. Dall’Italia in media partono per la Russia una ventina di milioni di euro al giorno per gas e petrolio, weekend e feste incluse. E la Russia non può farne a meno, perché le infrastrutture per vendere materia prima alla Cina ancora non ci sono e costeranno comunque carissime.
Quanto all’Europa, la miopia non è stata minore e oggi rende soprattutto Italia e Germania vulnerabili alla sottile opera di destabilizzazione di Mosca. Il 2014, con l’annessione della Crimea e l’innesco di una guerra da 14 mila morti in Donbass, avrebbe dovuto insegnare agli europei che Vladimir Putin non è un partner come gli altri. Che non è un fornitore puramente commerciale, perché ha un’agenda politica ostile e imprevedibile.
Invece abbiamo aumentato la dipendenza da quella fonte di energia, anziché ridurla. La quota russa nell’import tedesco di gas passa dal 41% del 2014 al 49% del 2019, fino al 65% del 2020 con la sostituzione del carbone. Quella italiana sale fra il 2014 e il 2019 dal 43% al 47%. Di segno opposto invece l’evoluzione dei polacchi, che non dimenticano il loro passato e riducono la dipendenza dal metano di Mosca dal 75% dell’import del 2014 al 55% del 2019. Che del resto si tratti di un mercato diverso dagli altri, risulta chiaro poi dalla scelta di Budapest dopo l’avvicinamento a Putin del premier sovranista Viktor Orbán: per tutto l’ultimo decennio l’Ungheria mantiene l’apporto del metano di Mosca attorno al 95%.
mario draghi in conferenza stampa 3
Solo chi vuole esporsi ai volubili umori del Cremlino - oppure chi è distratto - oggi si trova intrappolato in questo equilibrio del terrore. E solo chi pianifica oltre il proprio naso, un giorno, potrà liberarsene.
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