GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Tommaso Labate per il “Corriere della Sera”
«Per qualcuno oggi è il giorno del Quirinale. Per me, invece, finisce qui». Mancavano tempi e modi. Il finale, però, era già scritto. Il giorno di fine gennaio in cui tramontò la candidatura del suo amico Mario Draghi al Colle, Giancarlo Giorgetti aveva previsto che il suo spazio all'interno della Lega si sarebbe ridotto fino ad annullarsi.
E così, sette mesi e una crisi di governo dopo, alla consegna delle liste del Carroccio rimane quell'amara verità che i fedelissimi del ministro uscente ripetono come la cantilena di un rosario: «Gli amici leghisti di Giancarlo nel prossimo Parlamento si conteranno sulle dita di una mano sola. Massimo Garavaglia, Silvana Comaroli, Giorgetti stesso. Altri?».
Gli altri, in Transatlantico, non ci torneranno. Fuori dalle liste del partito di Matteo Salvini o scivolati in una posizione estremamente complicata, come Barbara Saltamartini, Paolo Grimoldi, Paolo Ferrari o Matteo Bianchi, tutti rigorosamente atlantisti, tutti meticolosamente distanti dalla tentazione di criticare l'obbligo vaccinale o il green pass.
GIORGIA MELONI LUCA ZAIA MATTEO SALVINI
L'esclusione più eccellente è quella di Raffaele Volpi, già sottosegretario alla Difesa, poi presidente del Copasir. Che infatti, nella sua dichiarazione di addio, ricorda di aver sostenuto da cittadino di Brescia, «uno dei territori più martoriati dal Covid, provvedimenti difficili ma di responsabilità, anche se avversati da minoranze rumorose e a volte addirittura negazioniste».
Se l'ala giorgettiana radicata nel Nord Ovest finisce decimata, nel Nord Est di Luca Zaia le cose non sono andate meglio. L'ha detto ieri il governatore veneto in persona, nella dichiarazione con cui rinvia al 26 settembre eventuali conti da regolare:
«Ci sono più parlamentari veneti uscenti di quelli che si possono candidare. Io ho visto le liste solo tra ieri sera e stamattina (ieri, ndr ). Ora si lavora pancia a terra, bilanci e commenti vengono dopo, non serve alimentare polemiche. Magari avremo un bel risultato, arriveremo al 30-40%, e avremo solo da festeggiare».
Quando i partiti non celebrano i congressi, evitano le discussioni interne, non misurano i rapporti di forza nel proprio perimetro, può succedere anche questo: che la compilazione delle liste per il Parlamento diventi l'occasione unica per un regolamento dei conti senza appello.
A Luca Lotti, predecessore di Giorgetti alla guida del Cipe, è andata pure peggio del quasi omologo leghista. Dalle liste del Pd è rimasto fuori lui in persona. «Il segretario del mio partito ha deciso di escludermi dalle prossime elezioni politiche. Mi ha comunicato la sua scelta spiegando che ci sono nomi di calibro superiore al mio».
Hanno rischiato il posto, salvo poi essere ripescati in seguito, il sottosegretario Enzo Amendola e il costituzionalista Stefano Ceccanti. Mentre di fatto non esiste più l'area dei «giovani turchi» che si riconosce in Matteo Orfini - gli ex giovani dalemiani che si erano alleati con Matteo Renzi dopo la sua scalata al Pd - che non riporterà in Parlamento né Giuditta Pini né Fausto Raciti.
berlusconi valentino valentini
Dentro Forza Italia, per quanto il diretto interessato sia rimasto sempre alla larga dalle beghe di partito (non solo mai candidato ma mai nemmeno iscritto), si riduce l'area di quelli che sono cresciuti nel mito di Gianni Letta o ci hanno lavorato per anni a stretto contatto.
Col nuovo corso griffato Antonio Tajani perdono il posto in Aula - o rischiano di perderlo - Valentino Valentini, ministro degli Esteri ombra del berlusconismo degli ultimi vent' anni, lo storico responsabile dell'organizzazione forzista Gregorio Fontana, l'ex uomo-ovunque di Arcore Sestino Giacomoni oltre a Giuseppe Moles, sottosegretario di Stato con delega all'Editoria.
IL POST INSTAGRAM DI ANDREA RUGGIERI DOPO ESSERE STATO FATTO FUORI DALLE LISTE DI FI
E rimane fuori, dice Andrea Ruggieri, «chi, come me, è un berlusconiano top, di quelli che per difendere il leader in tv si è beccato fior di querele, di quelli che non hanno mai tradito la causa o minacciato di cambiare partito. Alcuni di quelli che se n'erano andati da Forza Italia e poi sono tornati hanno il posto sicuro in lista. Io, che ero stato chiamato da più forze politiche per cambiare casacca e sono sempre rimasto a servire la causa berlusconiana con disciplina e onore, alla fine sono rimasto a piedi».
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