1 - LE SANZIONI SI AVVICINA L'EMBARGO SUL GAS SALE IL PRESSING E BERLINO APRE
Marco Bresolin per “la Stampa”
L'embargo sul gas russo non è mai stato così vicino. Prima il ricatto di Vladimir Putin, con la richiesta di pagare le forniture in rubli.
UCRAINA - CADAVERI IN STRADA A BUCHA
Poi le immagini in arrivo da Bucha che rivelano un brutale salto di qualità nell'orrore della guerra condotta dalla Russia. Insomma: al tavolo dei governi europei, chi fino a ieri si opponeva al blocco delle importazioni nel settore energetico in una logica sanzionatoria «incrementale» ora ha almeno un paio di argomenti in meno per tenere il piede sul freno.
Tanto che persino all'interno del governo tedesco si registrano le prime aperture.
Il cancelliere Olaf Scholz ha parlato della necessità di «ulteriori sanzioni», ma si è ben guardato dal menzionare il settore energetico.
Cosa che però la sua ministra della Difesa non ha fatto: Christine Lambrecht, esponente della Spd come il cancelliere, ha detto esplicitamente che l'Ue deve discutere di un blocco dell'import di gas russo. Anche se non si tratta ancora della posizione ufficiale del governo tedesco, l'uscita della ministra rappresenta la rottura di un tabù, visto che Berlino è stata sin qui la capitale più restia ad allargare le sanzioni agli idrocarburi.
Per compiere quel passo, però, è necessario un confronto al massimo livello politico.
Per questo ieri sera il premier polacco Mateusz Morawiecki ha scritto a Charles Michel per chiedergli di convocare "al più presto" un Consiglio europeo straordinario. «Servono sanzioni efficaci - ha insistito Morawiecki - quelle attualmente in vigore non stanno funzionando».
Da Kiev sono arrivate richieste ben precise tramite il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba: «Embargo su petrolio, gas e carbone. Chiusura dei porti a tutte le imbarcazioni e a tutte le merci russe. Disconnessione di tutte le banche dal sistema Swift».
È chiaro che si tratta di richieste forti che l'Ue non sembra in grado di soddisfare nell'immediato, ma anche il pressing interno è sempre più forte. «L'indifferenza è la madre di tutti i crimini» ha ribadito la premier estone Kaja Kallas, in prima linea nel chiedere una risposta forte.
La Lituania ha appena deciso di interrompere l'importazione di gas dalla Russia e le altre ex repubbliche baltiche seguiranno in scia. A Bruxelles sono convinti che se la Germania dovesse decidere di compiere il grande passo sarebbe più facile superare le altre resistenze.
Resterebbero da convincere l'Ungheria e la Slovacchia, che sono contrarie: il ministro dell'Economia di Bratislava, Richard Sulik, insiste nel dire che il suo Paese ha bisogno del gas di Mosca e che è addirittura disposto a pagarlo in rubli, se necessario.
Durante il fine settimana la Commissione europea ha lavorato alla definizione di nuove sanzioni, ma si tratta di misure minori che sostanzialmente riguardano un'estensione di quelle già adottate.
Ora si tratta di decidere se andare avanti con l'adozione di questo pacchetto, che però risulterebbe insufficiente di fronte al massacro di Bucha.
La Commissione potrebbe dunque metterlo da parte in attesa di un confronto tra i ventisette sulla possibilità di estenderlo al settore energetico. Una delle opzioni sul tavolo prevederebbe di iniziare con il petrolio per poi passare, eventualmente al gas.
Ma tra i governi Ue - anche per ragioni di interesse nazionale - c'è invece chi sostiene la necessità di tenere insieme il pacchetto idrocarburi. Bloccando subito l'import di petrolio, carbone, ma anche gas, soprattutto alla luce della provocazione di Putin sul pagamento in rubli.
L'altro fronte in discussione riguarda l'invio di armi all'Ucraina: «Ne metteremo a disposizione altre» ha assicurato il cancelliere Olaf Scholz. La Polonia - attraverso il vicepremier Jaroslav Kaczynksi - ha invece lanciato un invito alla Nato e in particolare agli Stati Uniti.
«Se gli americani ci chiedessero di ospitare le loro armi nucleari in Polonia, noi saremmo aperti perché questo rafforzerebbe in modo significativi la deterrenza su Mosca». Kaczynski, che durante il suo viaggio a Kiev aveva chiesto l'intervento della Nato sul terreno, ha precisato che l'ipotesi non è stata ancora discussa con Washington, «ma le cose potrebbero cambiare presto».
2 - DRAGHI AL BIVIO SUL BLOCCO DEL GAS "SE SI FA, NON CI TIRIAMO INDIETRO" CARTABIA STRINGE SUL NUOVO CSM VERTICE A OLTRANZA
Ilario Lombardo per “la Stampa”
Enrico Letta è il primo e unico leader italiano a chiedere lo stop del gas russo. Lo fa in un tweet, in inglese, interrogando l'Europa, ancora prima che il governo italiano, chiuso in un silenzio tattico e attendista.
ucraina la mano di un civile ucciso
«Quante altre Bucha prima di un pieno embargo a petrolio e gas russi?» si chiede il segretario del Pd. La domanda è una crepa dentro i timori che fino a ieri hanno compattato i partiti della maggioranza, terrorizzati di rimanere senza più le forniture russe che contano il 40% dei consumi italiani.
L'invito di Letta sposta subito l'interrogativo su Palazzo Chigi. Per Mario Draghi «le immagini dei crimini commessi a Bucha e nelle altre aree liberate dall'esercito ucraino lasciano attoniti». La crudeltà dei massacri di civili inermi «è spaventosa e insopportabile» e «le autorità russe - accusa il premier - dovranno rendere conto di quanto accaduto».
Draghi non fa il passo in più che chiede Letta.
Parla di «autorità russe», non di Vladimir Putin, con il quale forse già questa settimana avrà un'altra telefonata. La reazione all'orrore restituito dalle fotografie di Bucha non cambia - per ora - la linea sul gas.
«Ogni iniziativa sarà coordinata nella cornice europea» spiegano fonti vicine al premier. Il che non esclude nessuno scenario. Se l'Ue opterà per il blocco totale come sanzione definitiva contro il Cremlino, il governo italiano non si tirerà indietro. Draghi, però, vuole conservare un metodo.
GASDOTTO TAP PUTIN ERDOGAN ALIYEV
Capire cosa intende fare la Germania, l'altro Paese che ha una decisa dipendenza energetica da Mosca, e calcolare tutte le conseguenze. La proposta del price cap, il tetto al prezzo del gas, resta in piedi secondo i collaboratori del presidente del Consiglio, anche se ci sono complicazioni sulla condivisione della misura a livello europeo che rendono più facile, a questo punto, arrivare addirittura a uno stop completo.
ucraina un civile ucciso a irpin
Ieri, per la prima volta, un membro del governo tedesco, dello stesso partito del cancelliere, la ministra della Difesa del Spd Christine Lambrecht, ha apertamente fatto riferimento a questa opzione in sede europea.
Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio lo ha ammesso: «Non escludiamo che nelle prossime ore ci possa essere un dibattito sullo stop all'import del gas russo». Dovesse essere così, «l'Italia non si volterà dall'altra parte». La sensazione tra i ministri è che si stia inesorabilmente scivolando verso una tagliola che sembra ogni giorno sempre più l'unico epilogo possibile. La macchina della distruzione di Putin non si ferma.
La frustrazione di una vittoria mutilata se non impossibile alimenta la violenza e la rabbia militare di trovarsi di fronte a una resistenza che ha unificato l'Occidente e richiamato la difesa dei Paesi Nato. Il cancelliere Olaf Scholz ha annunciato l'invio di nuove armi a Kiev, e dalla Difesa confermano che l'Italia farà altrettanto, come chiesto dagli alleati americani.
Ma per il governo ucraino l'arma che a questo punto può davvero piegare Putin per costringerlo verosimilmente a un negoziato più credibile sono le sanzioni sul gas.
URSULA VON DER LEYEN OLAF SCHOLZ MARIO DRAGHI
In Italia è il Pd a spingere per rompere ogni esitazione. Bucha è il punto di non ritorno, secondo Letta. «Non è più tempo di compromessi», sostiene. E la previsione della segreteria, alla luce anche di quanto ha dichiarato la ministra della Difesa tedesca, è che «l'embargo totale sarà l'approdo inevitabile». È una scelta che non va subita, secondo i dem, o «una decisione altrui cui accodarsi».
È un messaggio diretto a Draghi e agli alleati di governo che temono i contraccolpi sul fabbisogno italiano. Ieri, l'indignazione tra i leader è stata totale, solo Matteo Salvini ha scelto di non commentare preferendo invece farlo sulla vittoria di Orban. Per il presidente Giuseppe Conte «non dobbiamo rassegnarci all'ineluttabilità della guerra, non possiamo accettare questa carneficina».
Per Giorgia Meloni, Fratelli d'Italia, «una barbarie che riemerge dalle epoche più buie della storia europea». Nessuno, però, a parte Letta ha voluto esporsi fino a chiedere l'addio del metano di Putin. Come Stato fondatore dell'Ue, della Nato e come membro del G7, l'Italia, secondo il Pd, deve misurarsi con il proprio destino.
Al Nazareno si discute di un pacchetto di proposte per far fronte all'emergenza e si parla esplicitamente di prepararsi a un'«economia di guerra», espressione che fino a ieri il presidente del Consiglio ha evitato in tutti i modi di pronunciare. Ma è un orizzonte che tiene comunque in considerazione. In queste settimane il governo ha lavorato a un eventuale choc energetico conseguente al blocco russo.
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
E in previsione, se la situazione dovesse richiederlo, resta la riattivazione delle centrali a carbone. La scommessa, intanto, è sugli stoccaggi, sulla bella stagione che tra qualche giorno riporterà temperature più calde e sui nuovi approvvigionamenti. Ieri l'amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi era ad Algeri, per parlare di una partnership con Sonatrach e per definire l'accordo per un aumento delle forniture del gasdotto TransMed che sarà poi Draghi a celebrare nei prossimi giorni con la prevista visita nel Paese nordafricano.