1 - IL RICAMBIO TOTALE DEGLI AZIONISTI CDP VERSO IL 33%, IPOTESI BLACKSTONE
Fabrizio Massaro e Fabio Savelli per il “Corriere della Sera”
Ma quanto vale davvero Autostrade per l'Italia? È sul valore attuale e prospettivo della società concessionaria, nella quale la Cdp si appresta a entrare per sostituire gradualmente dalla gestione la famiglia Benetton, che si gioca una partita non solo politica ma anche finanziaria. I soldi sul tavolo sono tanti, tantissimi. Per Cassa depositi e prestiti varie fonti parlano di un investimento stimabile in 2,5-3 miliardi di euro (qualcuno si spinge a sfiorare i 4 miliardi) per un ingresso con il 33% nella società concessionaria.
I numeri finali dipenderanno dalla valutazione che sarà data ad Autostrade per l'Italia (Aspi), controllata all'88% dalla holding quotata Atlantia di cui i Benetton hanno il 30% con la cassaforte Edizione. Secondo le stime su cui a Roma - tra Palazzo Chigi, il Mef e la Cdp guidata da Fabrizio Palermo - stanno ragionando, tutta la società varrebbe circa 4,8-5 miliardi di euro come valore del capitale (equity value).
Considerando anche il debito della capogruppo Atlantia attribuibile ad Aspi - che rappresenta circa il 60% dei margini dell'intero gruppo - il valore complessivo dell'azienda ( enterprise value ) arriva a circa 10 miliardi. La quota in capo ad Atlantia vale quindi 8,8 miliardi di euro, mentre il resto è in mano ai soci di minoranza Allianz e ai cinesi di Silk Road.
Per prendere la maggioranza di Aspi, la Cassa dovrà sottoscrivere un aumento di capitale da 2,5-3 miliardi che farà diluire Atlantia. Contemporaneamente Atlantia potrà vendere quote di Aspi alla stessa Cdp e ai suoi possibili partner istituzionali in questa partita - potrebbero essere Poste Vita, F21, gli australiani di Macquarie, il fondo Usa Blackstone - con un ulteriore 22%. I tempi? Fine ottobre.
Una volta che Atlantia si sarà diluita al 40%, effettuerà la scissione della società autostradale, che si ritroverà così quotata in Borsa. Ai soci Atlantia verranno assegnate le azioni Aspi pro-quota, e così i Benetton scenderanno al 10-15% circa e non avranno ruoli operativi nella gestione. Autostrade sarà una public company quotata in Borsa, con dentro vari investitori istituzionali e i piccoli azionisti oggi di Atlantia. «Siamo vigili e disponibili per ragionamenti e salvaguardare i nostri investimenti», dice il presidente di Fondazione Crt, Giovanni Quaglia, socio di Atlantia e Cdp e quotista del fondo F2i.
giuseppe conte roberto gualtieri
Per il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri «il nuovo assetto societario e il ruolo che avrà Cdp potranno garantire un elevato grado di tutela dell'interesse pubblico». Gualtieri avrebbe sondato la disponibilità di Generali e Unipol a partecipare ricavandone tuttavia freddezza. Sulla stima del valore di Aspi sembra ci sia una convergenza anche con Atlantia: 10 miliardi come valore d'impresa. Non poteva essere altrimenti, dato che un accordo è stato trovato. Anche perché l'alternativa è la revoca. Nelle valutazioni di dettaglio avranno un peso decisivo gli effetti delle modifiche nelle regole tariffarie imposte dal governo.
L'accordo modifica la dinamica tariffaria da qui al 2038, l'orizzonte di vita della concessione. Il rendimento sul capitale investito - il cosiddetto indice «Wacc» - scende dal 10% al 7,09% secondo il modello dell'authority sui trasporti. Ciò comporta una riduzione attesa sui flussi di cassa del 5% per i primi 5 anni; dal 2026 ci sarà un nuovo piano economico-finanziario che, in base agli investimenti nel frattempo effettuati, potrebbe accrescere lievemente quel rendimento, ma anche ridurlo nel caso i volumi di traffico siano superiori alle previsioni.
Ciò inciderà sul margine operativo lordo della concessionaria, attualmente al 30% dei ricavi. Resta il nodo degli eventuali risarcimenti stabiliti dal processo di Genova. Gli investitori pronti a subentrare ritengono ineludibile la manleva per tutelarsi dal rischio. Autostrade nell'accordo col governo ha riconosciuto un valore di 3,4 miliardi.
2 - SALVATAGGI ILVA, ALITALIA, MPS E CONCESSIONI. GIA’ SPESI 33 MILIARDI PER IL SOCIALISMO DI STATO
Antonio Signorini per “il Giornale”
CDP – CASSA DEPOSITI E PRESTITI
Dal ritorno degli aiuti di Stato - in particolare nel settore delle banche - al revival delle statalizzazioni il passo è stato breve. L'idea di mano pubblica per meglio gestire società un tempo private è restata tabù dalla seconda metà degli anni Ottanta, da quando cioè il Paese si ritrovò a raccogliere i cocci delle «nazionalizzazioni» iniziate negli anni Sessanta durante i governi di centrosinistra e decise una sterzata a favore del privato. Ciclo finito a quanto pare.
Nonostante il debito pubblico (a maggio è stato toccato il record di 2.507,6 miliardi, in aumento di 40,5 miliardi rispetto al mese precedente e superando così il precedente massimo storico a luglio del 2019 di 2.467,4 miliardi) l'ingresso dello Stato nel capitale di aziende private è tornato nei programmi dei partiti. E già si può ipotizzare il costo della moda statalista: 33 miliardi.
170esimo anniversario di cassa depositi e prestiti l'intervento di giuseppe conte 2
Il costo dell'ingresso di Cdp nel capitale di Aspi non è ancora noto. Vero che la Cassa depositi e prestiti è da considerare un investitore privato (gestisce soprattutto il risparmio postale), che non rientra nel perimetro del debito pubblico e che dalla partecipazione in Aspi avrà una remunerazione. Si sa però che la Cassa dovrà partecipare ad un aumento di capitale stimato in tre miliardi.
La società dovrà poi sostenere costi e finanziare investimenti per rimettere in sesto la parte di rete autostradale controllata da Autostrade per l'Italia. Il gruppo Benetton aveva messo in cantiere sette miliardi di investimenti. L'operazione più impegnativa per lo Stato resta quella di Alitalia, arrivata a maturazione recentemente con il progetto di una nuova società (Alitalia Tai) partecipata a maggioranza dal ministero dell'Economia tramite una newco. Anche in questo caso si parte dai tre miliardi di euro. Cifra certa, stanziata con il decreto Rilancio.
Ufficialmente un salvataggio di un'azienda in crisi per il coronavirus, in realtà l'epilogo di una vicenda tormentata che riporterà la compagnia di bandiera al punto di partenza del 1946, quando era partecipata interamente dall'Iri. Non che la fase privata sia stata meno onerosa per le casse pubbliche. Dal 1974 al 2014, secondo un famoso studio di Mediobanca, i salvataggi sono costati 7,4 miliardi di euro, più i 900 milioni del prestito del 2017 e i 75 del 2014. Con gli interessi si arriva a 8,5 miliardi. In tutto 12,5 miliardi. A ricordare che la sfida per lo Stato sarà soprattutto quella di limitare le perdite e fare funzionare una compagnia aerea che non ha mai smesso di sentirsi statale. Prima ancora di Alitalia è stata l'Ilva a scatenare i ritorni di fiamma delle nazionalizzazioni.
Dossier ancora aperto, ma per l'acciaieria oggi del gruppo ArcelorMittal si prospetta un ritorno alle origini (era la pubblica Italsider) con una nazionalizzazione i cui costi sono stimabili in 4,5 miliardi di euro. I salvataggi delle banche sono stati quelli più impegnativi per il bilancio dello Stato. Monte dei Paschi dal primo salvataggio del governo Monti alla ricapitalizzazione è costata 5,6 miliardi, in parte restituiti.
È stato il primo esempio di ritorno dello Stato nel capitale di una importante azienda privata. L'intervento a favore delle banche venete è costato 16 miliardi di euro, 900 milioni il salvataggio della popolare di Bari. In generale il salvataggio delle banche è costato 36 miliardi 22, dei quali in capo allo Stato (gli altri li hanno pagati il sistema creditizio e gli azionisti con i bail-in). Era inevitabile per salvare risparmi e il credito. Ora l'impressione è che la politica sia fatta prendere la mano.