Marzio Breda per il “Corriere della Sera”
sergio mattarella in macedonia del nord 2
Basta una frase di 15 parole, a Sergio Mattarella, per rispondere al cronista che gli pone la questione se, dopo il voto del 25 settembre, l'Italia sarà messa davvero «sotto vigilanza» da parte dei Paesi stranieri (anzitutto quelli della Ue).
Una replica perentoria, quel «sappiamo badare a noi stessi nel rispetto della Costituzione e dei valori europei», sillabata per zittire quanti alzano il sopracciglio, e la voce, davanti alla prospettiva di aver presto a che fare con un governo del centrodestra guidato magari da una come Giorgia Meloni.
Retropensiero esplicito: non c'è motivo di dubitare che Roma tradisca la propria Magna Charta, non rispetti i diritti civili o abbandoni la sua tradizione europeista. Non succederà. Del resto, abbiamo degli organi costituzionali (il Parlamento, la Consulta e, appunto, il Quirinale, che «veglierà» da garante, come ha sempre fatto in ogni evoluzione del sistema) in grado di assicurare coerenza al percorso democratico. Insomma: chi pretendesse di fare l'esame del sangue, politicamente parlando, al prossimo esecutivo, sappia che ce lo facciamo noi. Da soli.
È una messa a punto delicata - e ciò spiega anche l'asciuttezza con cui è espressa - quella che il capo dello Stato si sente in dovere di compiere. Lo ha fatto perché certe polemiche al limite dell'ingerenza, lievitate a volte anche sul masochismo di alcuni dibattiti di casa nostra, lo hanno reso sensibile al tema.
Una la sollevò la premier francese Elisabeth Borne il giorno dopo la chiusura delle urne, chiamando in causa perfino la presidente della Ue, Ursula von der Leyen. Sortita subito liquidata da Emmanuel Macron («Il popolo italiano ha fatto una scelta democratica e sovrana la rispetteremo»), probabilmente in virtù degli ottimi rapporti personali tra lui e Mattarella.
SERGIO MATTARELLA EMMANUEL MACRON
Lo stesso schema si è riproposto ieri: una tagliente bordata della ministra per gli affari europei Laurence Boone, seguita da un analogo ripiegamento dell'Eliseo. per evitare che tutto sfociasse in un incidente diplomatico sull'asse Roma-Parigi. Che avrebbe ricreato i gravi imbarazzi della visita di fiancheggiamento ai «gilet gialli» dell'allora ministro, e vicepremier, Luigi Di Maio.
La faccenda, insomma, ha il sapore del déjà vu, e ci riporta al botta e risposta tra Quirinale e Downing Street di quando Boris Johnson sentenziò che gli italiani avevano «poco amore per la libertà», e per questo motivo potevano accettare di buon grado il lockdown durante la pandemia da Covid.
MEME BY LE BIMBE DI SERGIO MATTARELLA
Sentenza agra e senza rispetto, subito rintuzzata con freddezza dal nostro presidente, al pari di un'infelice battuta sullo spread della governatrice della Bce Christine Lagarde. Interferenze esplicite o minacciate, nelle quali echeggiavano di volta in volta vecchi pregiudizi, con cui dovette confrontarsi pure Oscar Luigi Scalfaro nel 1994, dopo aver tenuto a battesimo il primo governo di centrodestra.
Quello che vedeva i postfascisti di Gianfranco Fini alleati di Silvio Berlusconi, insieme alla Lega di Umberto Bossi. Molti forse non lo ricordano, ma anche quell'esecutivo incontrò diffidenze in Europa. Un esempio eclatante: il Parlamento di Strasburgo chiese a Palazzo Chigi di «assicurare formalmente il rispetto dei valori dell'antifascismo». Iniziativa alla quale Scalfaro reagì legittimando l'esperimento politico con uno stizzito «non abbiamo bisogno di maestri».
sergio mattarella emmanuel macron mario draghi sergio mattarella emmanuel macron mario draghi