Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
sergio mattarella e mario draghi
Se oggi la corsa per il Colle è vissuta come una partita a due tra Mattarella e Draghi, è perché oggi fuori da questo schema si intravede solo il caos. È vero che all'elezione del nuovo capo dello Stato mancano ancora cinque mesi, ma è altrettanto vero - come sostiene un ministro - che «nel Paese si va consolidando l'idea di una rielezione dell'attuale presidente della Repubblica o dell'avvento al Quirinale dell'attuale presidente del Consiglio».
E allora, più che attardarsi a capire cosa si dicono i segretari dei partiti, andrebbe capito cosa si dicono sul tema Mattarella e Draghi, che attualmente rappresentano il punto di equilibrio istituzionale del sistema: il primo ha espresso la volontà di chiudere la sua esperienza al termine del settennato, il secondo - racconta un dirigente del Pd - «è chiaro a cosa ambisce ma finora dinnanzi a ogni sollecitazione non ha mai mosso un muscolo».
dario franceschini con la mascherina
E si capisce il motivo, vista la delicatezza della sua posizione che si unisce alla farraginosità del quadro politico, con un Parlamento balcanizzato dove i leader discutono di nomi mentre i peones discutono di date, terrorizzati di veder cessare la legislatura prima del luglio 2022 e preoccupati solo di arrivare al riscatto della pensione, dato che in tanti sanno già di non tornare. Non a caso Quagliariello ricorda che «a votare non saranno i partiti ma i parlamentari. A scrutinio segreto».
Il rischio insomma è che gli accordi possano rivelarsi scritti sulla sabbia se dopo le elezioni presidenziali si aprissero le urne per le elezioni anticipate. Così tornano in mente le parole pronunciate da Franceschini in tempi non sospetti, quando spiegò ai compagni di partito che, «qualora si puntasse su Draghi, bisognerebbe prima stringere un patto di ferro con le altre forze per un governo fino al termine della legislatura».
Fu una lezione di metodo quella del ministro della Cultura, memore che ogni intesa su un candidato al Colle passa da una serie di caveat stabiliti prima del voto: e in questo caso i punti da sottoscrivere sarebbero la data del voto e il sistema elettorale da adottare. Siccome al momento il patto non c'è, è chiaro perché il premier non voglia esporsi.
MATTARELLA COME DANAERYS TARGARYEN INVOCA DRAGHI
«Ma il gioco è nelle mani di Draghi e Mattarella», spiega chi ha partecipato a molte trattative per il Quirinale. Ed è vero che stavolta non è come le altre volte, che la forza di maggioranza relativa non gioca un ruolo da protagonista ma agisce di risulta, e che i partiti alla vigilia della corsa arrivano a dividersi in pubblico, visto che il leader del Pd vuole la permanenza dell'ex presidente della Bce a palazzo Chigi «fino al 2023» - e di fatto non è propenso a votarlo per il Colle - mentre Bettini propone Draghi al Quirinale per andare subito alle urne. Così si torna al nodo delle elezioni che sarà lo snodo della sfida per il capo dello Stato.
MATTEO RENZI PIERFERDINANDO CASINI
E le Amministrative incideranno sulla scelta. «Lì si capirà - secondo Lupi - chi avrà interesse ad accelerare verso il voto e si muoverà di conseguenza sulla presidenza della Repubblica». Lì si giocheranno «i destini di Salvini e Letta», dicono all'unisono personalità di schieramenti opposti. Perciò il patto che il capo della Lega avrebbe sottoscritto con la Meloni ha il sapore della mossa tattica in vista del voto nelle grandi città.
sergio mattarella e mario draghi
I numeri peraltro evidenziano come in Parlamento non ci siano margini per soluzioni di blocco, cioè per candidati di schieramento: servirà invece un vasto accordo per compensare i franchi tiratori. Insomma è anche per esclusione che oggi si accreditano Mattarella e Draghi, per quanto - come si lascia sfuggire un esponente della segreteria dem - i partiti stiano lavorando a «figure di cerniera». I quirinabili non mancano, «già tra i nostri la lista è più lunga dei richiedenti il reddito di cittadinanza», sorride un dirigente del Pd.
Ma a detta di un rappresentante del governo «non si può escludere una strada alternativa per un nome di ricomposizione, che restituisca ai partiti uno spazio altrimenti occupato da Draghi». In Parlamento Renzi è all'opera, e non fa nulla per dissimularlo. Mentre chi sta in Consiglio dei ministri segnala «l'attivismo silenzioso di Giorgetti».
La dead line per l'operazione è «metà gennaio» e non esclude il rischio di una serie infinita di votazioni senza soluzioni, una sequenza di «bianca, bianca, bianca» che indebolirebbe ulteriormente i partiti e metterebbe a repentaglio il quadro di governo. Ecco perché oggi prevale lo schema Mattarella-Draghi. Anche se, a dar retta a uno dei partecipanti alla gara, «la corsa al Colle è da sempre una giocata da tripla».
pierferdinando casini matteo renzi dario franceschini con la mascherina 4 dario franceschini ritiro del pd all'abbazia di contigliano 3 1 gaetano quagliariello MARIO DRAGHI E SERGIO MATTARELLA