Estratto dell’articolo di Paolo Brera per “la Repubblica”
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Il mondo che i russi pretendono di «liberare dai nazisti», il mondo che si lasciano dietro quando se ne vanno dopo otto mesi da usurpatori, è questo lungo corridoio lurido tra le celle, dietro una grata di metallo: è la casa delle torture di Kherson. Nei negozi e nelle case lì accanto ancora tremano per quelle urla: «Non tacevano mai».
Maxim Negrov, un ex soldato 45enne, ha accettato di rimettere i piedi nella sua cella per raccontare i pestaggi e le scosse elettriche «alle orecchie e ai genitali» che ha subito ogni giorno, più volte al giorno, nelle tre settimane che è stato qui. È una palazzina dalle mura sormontate di filo spinato in via Teploenergetikov 3. […]
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La consideravano Russia, e il governo russo di Kherson era dunque questo: era la ronda di tre soldati sospettosi che ferma Dmitro Titov, un ragazzino di vent' anni a passeggio per il centro con tre coetanei, e gli spalanca le porte dell'Inferno. «Ci hanno chiesto i documenti, hanno ispezionato i nostri cellulari e forse hanno visto qualcosa che non gli è piaciuto... Hanno chiamato rinforzi - racconta - e sono arrivati due mezzi militari. Erano una ventina, ci hanno fatto mettere in ginocchio con i piedi e con il calcio dei fucili. Ci chiedevano dei soldati, dei partigiani e della difesa territoriale ucraina...».
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L'incubo è durato «mezz' oretta», ma era solo l'inizio. «Al centro di detenzione ci hanno tolto lacci, scarpe e telefonini. Per i nostri genitori siamo spariti. Divisi in celle diverse, ogni tre ore ci portavano al piano sopra per interrogarci». Non era esattamente un interrogatorio: «Ci legavano le caviglie a una sedia, con le mani dietro la schiena. Ci attaccavano un apparecchio con la corrente elettrica a orecchie e dita, e la scossa durava 15 secondi. Faceva malissimo. Mentre urlavo mi riempivano di domande».
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La prima sera, racconta, gli avevano fatto gli onori di casa in corridoio: «Ci hanno fatti spogliare nudi e sdraiare». Botte, scariche elettriche e poi la scelta: «Vi ammazziamo o vi violentiamo?». Per fortuna non hanno fatto né una cosa né l'altra. Erano solo sadismo e tecnica del terrore. «Il terzo giorno ci hanno fotografato i tatuaggi e ci hanno liberati».
Maxim Negrov, invece, non è stato catturato per caso come Dmitro. «Sapevano che avevo partecipato all'Operazione anti terrorismo (la prima fase della guerra nel Donbass). Sono andati a casa di mia madre, mi cercavano da amici e conoscenti e persino dove avevo vissuto da bambino. Una sera, il 15 marzo, mi hanno preso, mi hanno messo un sacco in testa e mi hanno portato qui». Scosse elettriche a orecchie e genitali, racconta, ma non solo.
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«Ci sono rimasto tre settimane, non voglio dare dettagli: ci sono ancora ragazzi e ragazze prigionieri dei russi. Molto dipendeva da chi ti torturava: per sadismo o metodo si inventavano sempre un nuovo modo per farlo».
«La cosa peggiore era sentire urlare continuamente qualcuno, soprattutto di notte». Il cibo, nella casa delle torture, era «un sacchetto di porridge da 300 grammi al giorno. Avevo imparato a riconoscere i torturatori: un gruppo faceva più male ma dava più cibo, l'altro il contrario. La notte venivano da noi ubriachi, facevano alzare tutti nelle celle e ci costringevano a cantare 'Gloria alla Russia' o il loro inno». […]
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