Luca Iezzi per “la Repubblica”
«Siamo a Genova per spirito di servizio, in un progetto come la ricostruzione del ponte Morandi non si entra per fare utili. Tanti nostri operai che lavorano al Terzo valico sono liguri e noi vogliamo essere loro vicini. Con Fincantieri e gli altri partner ci sentiamo attrezzati per aiutare una città che senza quel ponte sta morendo, non può aspettare oltre. L' ho detto più volte e lo confermo: si può fare in un anno».
L'ad di Salini-Impregilo, Pietro Salini è pronto a cominciare. La cordata di cui fa parte è data in pole per ottenere i lavori di ricostruzione. Sa che la capacità e la velocità con cui Genova potrà tornare alla normalità sarà un banco di prova per l'intero sistema-Paese. Ma il manager va oltre e spera che la voglia di ricostruzione sia contagiosa: «In Italia da molti anni non facciamo piani organici per le infrastrutture, la politica non riesce a dare una chiara prospettiva di sviluppo, a dire cosa vogliamo come Paese e che futuro vogliamo per noi e per i nostri figli. Il vero cambiamento di oggi sarebbe avere finalmente un piano chiaro per i trasporti, per l' energia, per l' acqua, per i rifiuti».
Il mondo dell' impresa non si sente capito da questo governo e teme che diventi un freno ad una crescita già traballante. È d' accordo?
«Siamo in un momento delicato, il ciclo economico è nuovamente in frenata, in Europa e nel mondo. In un contesto di questo tipo ogni ulteriore rallentamento o difficoltà può essere fatale. Faccio una considerazione da primo anno di economia. Se la domanda si ferma, ci insegna Keynes, gli investimenti pubblici sono la chiave per farla ripartire. Le infrastrutture sono in cima alla lista.
Strade, ferrovie aeroporti creano posti di lavoro, danno certezza alle imprese e attirano nuovi investimenti. In America fanno così e non è un caso se sono sempre i più rapidi nell'uscire dalle recessioni. In Italia, paese che è rinato dopo la seconda guerra mondiale con il miracolo economico basato su infrastrutture ed edilizia, non lo sappiamo più fare, siamo come paralizzati.
Dobbiamo uscire in qualche modo da questo stato di paura del fare, e recuperare lo stesso coraggio di chi 50 anni fa ha deciso di costruire infrastrutture visionarie come l'Autostrada del Sole o l'alta velocità ferroviaria. Due progetti che nascevano da un' idea forte: collegare il Nord e il Sud. Ci sono enormi capitali disponibili, il risparmio privato è ai più alti livelli di sempre eppure non si investe, prevale un sentimento di incertezza e di attesa».
Le forze ora in maggioranza hanno cavalcato questo sentimento.
«Non è un problema di questo momento o di alcune forze politiche, è una tendenza che c'è da tempo e non è un problema solo italiano. Programmare oggi una autostrada che si fa in 7 anni non ottiene consenso politico perché le persone vogliono soldi da spendere in cose che si vedono subito, questa è l'era della democrazia istantanea, ma per il benessere futuro serve una classe politica che sappia staccarsi dal consenso immediato.
In democrazia bisogna ricercarlo ma non si può fare tutti contenti, ad un certo punto bisogna assumere le decisioni, altrimenti sommiamo a un declino di fondo che viene da lontano, nuove crisi congiunturali e settoriali. Oggi godiamo di una redistribuzione della ricchezza che 50 anni fa non era nemmeno immaginabile, eppure mentre allora c' era la speranza di un futuro migliore che favoriva investimenti e crescita, oggi il futuro è senza certezze»
Negli ultimi giorni sembra che il governo voglia dare più ascolto a imprenditori e sindacati. Se dovesse suggerire una misura concreta?
«Lavoro. Creare posti di lavoro deve essere l'imperativo. Quando vado in giro la richiesta continua che ricevo è questa, è il problema di moltissimi ed il problema per la maggior parte dei nostri ragazzi».
Ne deduco che non la convince il reddito di cittadinanza
«Nessun sussidio dà la dignità di un vero lavoro, non sono contrario a misure temporanee di sostegno, ma concentriamo attenzione sulla produzione di ricchezza e su come dare lavoro e prospettive al Sud, poi anche sul modo più equo per redistribuire la ricchezza creata e aiutare chi è in difficoltà, costruendo un welfare che il Paese possa permettersi in modo duraturo e sostenibile. Non possiamo rubare il futuro ai giovani».
A proposito di difficoltà, nel settore delle costruzioni è in atto una vera emergenza.
«Parlano i dati: in 3-4 anni 120 mila imprese perse e 600 mila lavoratori in meno. Ora anche i grandi gruppi portano i libri in tribunale con effetti a cascata sulla filiera e le banche. Ma se nuovi lavori non si pianificano, e quelli già approvati non si fanno o lo Stato non paga, non può andare diversamente. Che Natale passeranno le famiglie che sanno di avere il proprio lavoro in bilico mentre lo Stato non sa dare certezze?".
Salverete Astaldi?
«Abbiamo fatto una prima proposta, ne faremo una più articolata. Astaldi è un gruppo importante: se si fermasse avrebbe effetti a cascata su tutto il sistema economico di filiera e sul sistema finanziario. Per questo stiamo cercando anche partner tra le banche e le istituzioni che hanno come noi l' interesse a evitare un blocco del settore. Siamo un'azienda forte che continua a crescere all' estero dove realizza il 92% del fatturato, nonostante notizie a volte fuorvianti come quella dell' arbitrato sul Canale di Panama.
Per noi non è un nuovo costo o imprevisto, si tratta di anticipi regolarmente iscritti nel bilancio del consorzio e che dovevamo restituire. Abbiamo appena concluso la vendita del segmento plants and paving della Lane incassando oltre 575 milioni di dollari. Siamo una società molto solida, assolutamente in grado di garantire un piano industriale di crescita ad una azienda italiana in difficoltà, per preservare lei e il lavoro che genera anche nel nostro Paese».