Estratto dell’articolo di Alberto Simoni per “la Stampa”
[…] il politologo olandese del Bard College di New York, Ian Buruma, guarda la vecchia Europa e più che ai numeri dei seggi che in Olanda il Partito delle Libertà dell'istrionico Wilders ha conquistato («dubito diventerà premier»), si sofferma sull'impatto che il voto avrà negli equilibri europei e non solo. […]
Professor Buruma, un olandese su quattro ha scelto Wilders. Perché?
«Non credo che il messaggio sia così differente rispetto a quello che è risuonato lo scorso anno in Italia con la vittoria di Giorgia Meloni, o in Polonia con il 36% conseguito da Kaczysnki o in America dove veleggia Donald Trump».
E qual è?
«Gli elettori non sono interessati a quello che accade fuori dai confini nazionali, non pensano ai riflessi sull'Ucraina o alle questioni europee. Per loro contano le questioni domestiche, lavoro, sicurezza, economia. E il messaggio che lanciano è chiarissimo: lasciateci stare, non vogliano restare invischiati negli affari internazionali, non vogliamo più immigrati, richiedenti asilo. Sembra quasi un atto di ribellione».
Ribellione contro chi o che cosa?
«Contro il bisogno, la richiesta di apparire sempre più internazionalisti. È la rivalsa delle province contro le élite liberal delle città».
[…] Quale impatto questo antagonismo fra zone rurali e élite liberal potrà avere a livello europeo?
«Lo misureremo nelle prossime tornare elettorali, ma ora i tedeschi sono terrorizzati dalla possibilità che l'AfD possa diventare il più grande partito. E sono sicuro anche i francesi temano per la tenuta del loro sistema».
Molti osservatori negli ultimi mesi hanno indicato una frenata dei cosiddetti movimenti populisti o nazionalisti. Vox in Spagna è rimasta al palo; in Polonia si va verso un governo senza PiS e Bolsonaro ha perso contro Lula. Poi l'inversione, perché?
«In Argentina ha vinto Milei, in Slovacchia Fico, ora Wilders nei Paesi Bassi. Era prematuro decretare il ridimensionamento definitivo del populismo proprio perché la contrapposizione fra province e grandi città è sempre più radicata. Chi vive nei sobborghi e nelle zone rurali non solo non si sente rappresentato, ma si sente quasi deriso, dimenticato dall'agenda che le élite liberal e internazionaliste spingono. Sono culturalmente estranei e non a proprio agio con i temi progressisti. E con l'immigrazione».
[…] Molti leader ultraconservatori hanno fatto a gara per congratularsi con Wilders…
«Perché si sentono parte di un movimento internazionale. Sembra un paradosso, diciamo sono nazionalisti internazionalisti. Ma è così. Wilders lusinga gli abitanti delle zone rurali, soffia sui temi di politica domestica, e poi ha legami con Modi in India. Lì è una star sulle tv, è invitato spesso, elogia il BjP e attacca i musulmani. Pochi dei suoi elettori sono a conoscenza di questo suo network transfrontaliero».
Wilders ha rimontato negli ultimi giorni di campagna elettorale parlando di edilizia pubblica e di sanità e sin abbassando i toni sui migranti. Temi che dovrebbero stare più a cuore alla sinistra. Perché?
«[…] la sinistra che è diventata il bastione delle élite colte urbane e ha perso il contatto (e i voti) della classe operaia e delle zone rurali. Per riconquistare queste fasce deve mettere l'accento sui temi sociali ed economici, la questione della casa è esemplare in tal senso. Sono queste le preoccupazioni dei ceti meno abbienti. […]».
Michael Walzer dice che la sinistra in questa stagione pensa troppo ai diritti civili e poco a quelli economici. Condivide?
«Assolutamente. La sinistra deve ripartire dai temi concreti, e poi concentrarsi sui cosiddetti diritti».