Olivier Guez per "il Foglio" (traduzione di Elia Rigolio)
Francis FukuyamaProfessor Fukuyama, gli attentati dell'11 settembre ancora assillano gli Stati Uniti?
Gli attacchi hanno segnato l'inizio della fine dell'egemonia americana sul mondo post Guerra fredda. Quando George W. Bush ha fatto il suo ingresso alla Casa Bianca, pochi mesi prima degli attentati, niente sembrava poter ostacolare l'egemonia americana. In politica estera, l'America non aveva nessun vero rivale. La bolla di Internet era appena scoppiata e non sembrava dover disturbare in modo duraturo l'economia americana, che usciva da un decennio di crescita eccezionale, caratterizzato da formidabili innovazioni tecnologiche.
Il Y2K, il bug dell'anno 2000, non c'era stato e la sua unica conseguenza, positiva, era stata la sostituzione dei vecchi computer con macchine nuove. Gli attacchi dell'11 settembre 2001 hanno prodotto una battuta d'arresto drammatica a quel periodo. Hanno aperto un decennio catastrofico per l'America, su tutti i fronti: diplomatico, militare ed economico. La guerra in Iraq ha dimostrato che l'America non aveva i mezzi per gestire i problemi del medio oriente in modo unilaterale.
Barack ObamaL'America ha fatto un uso sconsiderato del suo "hard power" e ha sottovalutato le difficoltà finanziarie che sarebbero potute derivare dalle sue azioni militari, oltre al montare di un fortissimo antiamericanismo in tutto il mondo. Da un punto di vista economico, in questi ultimi anni non solo i rivali dell'America si sono rafforzati considerevolmente, ma dal 2008 il modello neo liberale (neo liberista) americano è ufficialmente in crisi.
L'America è diventata vulnerabile dopo l'11 settembre?
Da dieci anni a questa parte, l'America ha perso la sua spocchia. Le sue opzioni di politica estera ed economica si sono rivelate errate. Il modello di crescita americano si è rivelato molto fragile, e gli attacchi terroristici hanno reso evidente la vulnerabilità del paese. Ciononostante, il malessere americano non risale all'11 settembre 2001. E' vecchio almeno un quarto di secolo, da quando il paese ha iniziato a vivere al di sopra dei propri mezzi. Da una generazione a questa parte gli americani vivono a credito, grazie a un dollaro debole e al fatto che le altre nazioni hanno accettato di concedere loro denaro in prestito.
Che tracce hanno lasciato gli attacchi nella psiche degli americani?
In una parte della destra americana si è sviluppata una certa islamofobia. E' un sentimento latente in alcuni americani, che i politici possono sfruttare agilmente: continua a essere un argomento che smuove gli elettori. Più in generale, direi questo: oggi gli Stati Uniti ritirano le loro truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan, due guerre in rapporto diretto con gli attentati dell'11 settembre, e questa data nel corso degli anni diventerà il giorno in cui si commemoreranno le vittime americane, o piuttosto l'America come vittima.
Ma nella psiche americana contemporanea mi sembra che la paura del terrorismo, molto presente nel corso degli anni seguiti agli attacchi, abbia lasciato spazio a preoccupazioni più terra terra e più tangibili: la disoccupazione, il deficit, la precarietà dell'economia e della finanza, di ogni famiglia americana e del paese intero.
Barack ObamaAll'indomani della caduta del Muro di Berlino lei ha scritto un noto articolo e poi un libro sulla "fine della Storia", ovvero sul coronamento teoricamente definitivo della democrazia liberale di mercato dopo la caduta dei regimi comunisti. La Storia si è rimessa in moto dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001? Non ha peccato di ottimismo?
Non credo: oggi così come vent'anni fa, non c'è modello di organizzazione politica migliore della democrazia liberale nel quadro di un'economia di mercato. Nessuno ha voglia di copiare i modelli di organizzazione politica iraniano, afghano o islamista. Il modello cinese, economicamente dinamico, potrebbe costituire un'alternativa, ma dal punto di vista politico non credo possa essere imitato, perché è frutto di una storia plurimillenaria.
Di conseguenza, credo sempre che non vi sia alternativa alla democrazia liberale di mercato. Tuttavia, la sfida più grande non è quella è di proclamare la democrazia ma quella di costituire le istituzioni democratiche in grado di funzionare sul lungo periodo. Se ciò non avviene, col passare del tempo il buon funzionamento delle istituzioni può incepparsi e paralizzare una democrazia.
Barack ObamaE' quel che sta succedendo oggi agli Stati Uniti?
Temo di sì. Al di là della crisi economica attuale o di un eventuale nuovo attacco terrorista, credo che l'America stia attraversando una crisi di gestione pubblica (governance) molto grave. Il governo americano è pensato per funzionare grazie al sistema di "checks and balances", dei pesi e contrappesi. Oggi però i contrappesi sono troppo numerosi e troppo potenti. Inoltre il potere è frammentato, il governo non può più agire, il paese è paralizzato e la democrazia stenta.
Perché?
A causa dell'estrema polarizzazione della classe politica americana, polarizzazione considerevolmente rafforzata in questi ultimi anni dalla blogosfera di Internet e dall'accresciuta potenza dei canali via cavo schierati, come Fox News. L'inciviltà aumenta in parallelo alla pressione sui politici eletti, tanto che la classe politica americana è più divisa che mai, in un clima vicino all'isteria. Di fatto, non è all'altezza delle sfide attuali del paese. E' questo probabilmente l'elemento più inquietante della crisi attuale.
La popolazione percepisce come lei tutto questo?
Gli americani hanno coscienza della propria fragilità. Percepiscono che la ripresa è molto lenta, che la disoccupazione continua a essere alta, che l'economia nei prossimi anni stagnerà e che il mercato immobiliare continua ad andare male, che ci vorranno almeno dieci anni ancora prima che ritorni ai livelli precedenti alla crisi.
Molti hanno perso la casa, sono preoccupati per la pensione, la riduzione del livello di vita, la crescente precarietà, in particolare nella generazione dei baby-boomer, molto numerosi. Molti hanno perso le proprie illusioni. E in un momento del genere, a Washington i politici litigano e i banchieri tornano ad accumulare fortune! Tutto questo alimenta il pessimismo degli americani.
Il pessimismo o la collera, in particolare nei sostenitori dei Tea Party?
Tutt'e due. Gli americani si sentono gabbati dalle élite di Washington e di Wall Street, che mai prima d'ora erano state guardate così negativamente dall'opinione pubblica. Le istituzioni sono bloccate. Non solo non sono riuscite a prevenire e poi a frenare la crisi; sono state coinvolte direttamente nella bolla finanziaria e nella crisi che è seguita alla sua esplosione.
Le istituzioni hanno lasciato fare e qualcuno alla loro guida si è anche arricchito considerevolmente alle spalle dell'americano medio. Poi hanno salvato i responsabili della catastrofe finanziaria. Il populismo e la collera crescono e non solo perché la disoccupazione non cala, ma perché una maggioranza di americani è vinta dal senso di impotenza e di abbandono.
Si sente di dire che a dieci anni dagli attacchi dell'11 settembre gli americani pensano che il loro paese non abbia più nulla di eccezionale?
No, non credo. Gli americani sono sempre convinti di appartenere a una nazione eccezionale, detentrice di una missione universale. L'eccezionalità dell'America non significa un tasso di crescita particolarmente alto o un livello di ricchezza più elevato che in altri paesi. E' piuttosto legato alle nostre istituzioni, al livello di libertà di cui dovrebbero godere tutti gli americani e alle possibilità offerte a ciascuno in questo paese. Soltanto che gli americani hanno l'impressione che le élite abbiano fatto man bassa dell'eccezionalità del loro paese.
In filigrana, in questa nostra conversazione, compare la disfatta della presidenza di Obama. A sentire lei, non sarebbe riuscito a rassicurare gli americani ...
L'elezione di Obama è stata frutto di circostanze eccezionali, in particolare del fallimento della banca d'investimento Lehman Brothers a poche settimane dalle elezioni presidenziali e dal disgusto dell'elettorato centrista per George W. Bush e per i repubblicani. Ma la sua elezione non ha aperto una nuova era di dominio democratico, non è stata un'elezione di riallineamento, non ha segnato cioè un periodo in cui, per una generazione, un partito domina la scena politica, come i Democratici dopo l'elezione di Roosvelt nel 1932.
Io credo che Obama e il suo ambiente abbiano interpretato così la sua elezione, tanto più che essa ha avuto luogo in circostanze abbastanza vicine a quelle dell'avvento di Roosvelt al potere. All'epoca era un'analisi comprensibile, nel pieno del tracollo finanziario, ma a posteriori è stato un errore aver creduto che il conservatorismo americano fosse morto per molto tempo, dopo gli errori delle due presidenze Bush, culminate nella peggiore crisi finanziaria dalla Grande depressione.
Barack ObamaIn realtà gli americani nel 2008 hanno votato innanzitutto contro i repubblicani. Non hanno votato un programma di sinistra. Obama tuttavia ha creduto di disporre di un mandato di sinistra e di avere tempo davanti a sé: invece di concentrarsi sulla crisi finanziaria e sulla disoccupazione, ha lanciato la sua grande riforma dell'assicurazione sanitaria. Subito dopo, infatti, dall'inizio della sua presidenza, per lui sono cominciati i guai.
A discolpa di Obama, bisogna dire che ha davanti a sé un'opposizione particolarmente intransigente e scaltra. Pensa si possa dire che è anche razzista?
So che alcuni liberali adorano dipingere gli oppositori di Obama come dei razzisti, in particolare i sostenitori dei Tea Party, che sarebbero Sudisti fuori tempo e nostalgici dell'epoca della segregazione. Fatta qualche eccezione, non credo che sia così. Tra gli esponenti di spicco dei Tea Party ci sono neri, come Hermann Caine, uno dei candidati all'investitura repubblicana.
Ma il presentatore televisivo Glenn Beck, molto popolare con i Tea Party, ha dichiarato che Obama sarebbe il presidente meno americano e più afroamericano della storia. C'è stata poi anche tutta la polemica sul certificato di nascita di Obama...
Glenn Beck esprime i suoi fantasmi e le sue paure, paura di vedere un'America sempre più ibrida e culturalmente sempre meno egemone, a causa in particolar modo del numero crescente di ispanici sul suolo americano. Personalmente trovo che Obama, per essere un politico nero, sia molto reticente ad affrontare le questioni razziali. E se ancora queste non sono scomparse negli Stati Uniti, direi che sono meno importanti che nel passato e soprattutto rispetto all'Europa di oggi.
E' per questo che la commemorazione dei 150 dall'inizio della guerra di successione si è svolta in modo abbastanza consensuale quest'anno?
La guerra civile pose il problema del federalismo. È al contempo uno dei componenti essenziali del sistema americano, uno dei garanti della libertà, ma anche purtroppo uno degli elementi giuridici che permisero agli stati del sud di stabilire e conservare le leggi segregazioniste fino agli anni Sessanta. Per interi decenni, il federalismo non ha goduto di buona reputazione, e brandire la bandiera del federalismo era cosa sospetta.
Oggi non si tratta più di proteggere una qualsivoglia discriminazione razziale e, infatti, la commemorazione si è svolta senza problemi e il federalismo ha buona reputazione e sempre più sostenitori: moltissimi americani pensano che gli Stati debbano beneficiare del massimo di libertà e di diritti rispetto a Washington e alle norme federali. Gli americani ripongono più volentieri la propria fiducia nei politici locali, piuttosto che in quelli nazionali. Ritengono di poterli controllare meglio.
Torniamo a Obama. Anche lei è deluso dalla sua presidenza sin qui?
Sì. Trovo che non abbia dimostrato grande leadership, in particolare in occasione dei due più importanti interventi del suo mandato: la politica per la ripresa e la riforma del sistema sanitario. Ha dato troppo spazio e potere al Congresso e non ha sostenuto personalmente le sue due riforme come avrebbe dovuto: non ne è stato il motore. Per la politica per la ripresa, non avrebbe mai dovuto affidare così tante responsabilità a Nancy Pelosi, all'epoca speaker (presidente) democratica della Camera dei rappresentanti.
Fondamentalmente, non trovo che sia un buon politico. È molto meno carismatico alla Casa Bianca di quand'era candidato. Ha commesso anche degli errori: ha aspettato due anni e mezzo prima di incontrare a quattr'occhi John Boehner, a capo della minoranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti e poi suo speaker, dopo le elezioni del novembre scorso. Ronald Reagan l'avrebbe fatto! Anche Bill Clinton.
A differenza dei suoi predecessori, Obama è troppo freddo, troppo intellettuale e troppo riflessivo. A causa della sua formazione elitaria, alla Columbia e all'Harvard, e della sua infanzia alle Hawaii, ai margini del paese, sembra troppo scollegato dalla società, dalle piccole città del middle west per esempio. Non capisce le persone dei Tea Party, gli sono estranee. Bill Clinton aveva studiato a Georgetown ma poi era tornato in Arkansas. Era più attento all'America profonda perché la conosceva meglio.
Tea PartyNon è tenero con il presidente Obama.
E' vero, ma la cosa fondamentale direi è che gli rimprovero di aver perso un'occasione storica: la riforma del settore finanziario. Nel 2009, i democratici controllavano entrambe le camere del Congresso e gli americani avrebbero seguito Obama sulla scia della sua elezione e della crisi finanziaria. L'arroganza e l'hybris degli Stati Uniti del periodo successivo alla Guerra fredda erano stati incarnati negli anni Novanta da Larry Summers, cantore, insieme a Robert Rubin, della deregolamentazione finanziaria sotto Bill Clinton; poi, negli anni seguiti all'11 settembre, da Paul Wolfowitz, teorico neo conservatore e cervello della guerra in Iraq.
Wolfowitz è stato punito dalla Storia, ma Summers è stato scelto da Obama per dirigere il consiglio economico nazionale fino al suo abbandono, nel novembre 2010! Ma Larry Summers, quand'era segretario del Tesoro, alla fine degli anni Novanta, aveva fatto approvare il Gramm-Leach-Bliley Act, che ha messo fine alle misure più importanti della normativa Class- Steagall Act del New Deal, che separava le attività delle banche commerciali da quelle d'investimento. Fu sempre lui a presiedere alla liberalizzazione del mercato dei derivati. Ed è da queste due storture che è giunta la crisi finanziaria.
Lehman BrothersPerché Obama scelse Summers all'epoca?
Non lo so. Summers ha un'aura da guru e da tempo presenta l'economia come fosse una scienza vudu, cioè non razionale. Bisogna avere la faccia tosta ed essere molto sicuri di sé per dire a persone intelligenti e furbe come Summers che la loro visione della finanza è sbagliata. D'altronde, Timothy Geithner, che ancora oggi dirige il Tesoro, era a sua volta un protetto di Summers sotto Clinton. Era alla direzione della Fed di New York quando è scoppiata la crisi. Ma la Fed di New York è storicamente molto vicina a Wall Street.
Insomma, per salvare l'economia americana e riformare il suo sistema finanziario, Obama ha scelto due uomini adorati da Wall Street, e implicati in passato in riforme e politiche che avevano permesso gli abusi all'economia e poi ne avevano causato la caduta.
Come si spiega allora che Obama venga trattato come fosse socialista e persino marxista, o comunista, dai suoi detrattori di destra?
E' paradossale e ingiustificato in effetti, ma l'opposizione è populista e opportunista e per screditare Obama gli rimprovera tutto e il contrario di tutto. E' una cosa stupida, perché Geithner e Summers non hanno mai nemmeno pensato di tornare al Glass-Steagall Act. Hanno preferito accollarsi le perdite dell'assicurazione Aig perché potesse pagare i creditori. Perché il governo ha fatto una cosa del genere?
I creditori erano Goldman Sachs e altri investitori della stessa sorta. Avrebbe avuto senso dire loro: "Sentite ragazzi, avete comprato crediti dubbi e rischiosi, e allora fatevene carico!". Obama avrebbe almeno messo a tacere alcuni dei suoi detrattori che accusano il suo dipartimento del Tesoro di essere troppo favorevole a Wall Street, se avesse smantellato questi grandi gruppi finanziari "troppo grandi per scomparire". Ma fondamentalmente, credo che la sua Amministrazione non volesse.
Wall Street è intoccabile?
C'è la nuova normativa Dodd-Frank, che prevede appunto una migliore protezione dei consumatori del credito, ma nel corso dei mesi le sue prerogative e i suoi mezzi si sono assottigliati. Wall Street ha fatto lobbying in modo molto efficace e ben organizzato, anche perché il settore ne ha i mezzi: l'1 per cento della popolazione detiene il 24 per cento della ricchezza nazionale, contro il 7 per cento nel 1970; e di questo 1 per cento, a eccezione di qualche genio della Silicon Valley, molti appartengono al mondo della finanza.
Più in generale però, che si tratti di sindacati, medici o agricoltori, tutte le corporazioni dispongono quasi di un diritto di veto sulle norme che le riguardano, e ciascuno fa prevalere esclusivamente i suoi interessi. E' una delle ragioni per cui il sistema politico americano non funziona più correttamente.
TIMOTHY GEITHNERLa vedo inquieto, quasi smarrito. E' così pessimista sul futuro degli Stati Uniti?
Se non si cura una malattia, questa peggiora e quando si manifesta la volta successiva, i suoi effetti saranno ancora più drammatici. Finché il paziente non ne potrà più e deciderà di curarsi, se non è troppo tardi. Pensavo che la crisi del 2008 avrebbe avuto un impatto favorevole sui repubblicani, pensavo che avrebbero cambiato parere quanto alla necessità di regolamentare meglio il mercato finanziario e di limitarne i rischi. Ma i repubblicani sono più fondamentalisti che mai!
Perché?
Vien da pensare che la crisi non sia stata abbastanza grave ai loro occhi. L'azione del governo americano e delle altre nazioni ha impedito una nuova Grande depressione. Allora le cose possono continuare come prima. Ma io penso invece che ci stiamo infossando in un marasma sempre più profondo. Forse ci vorrà una nuova crisi, questa volta esterna, come il crac del dollaro, o una nuova recessione, perché le cose cambino. E ancora non è certo: il Giappone è in crisi da vent'anni ma, per mancanza di leadership e di volontà politica, non ne è mai uscito davvero.