DAGONOTA
Matteo Renzi è ossessionato dal piano di salvataggio del Montepaschi. E con qualche buona ragione: in caso di fallimento dell’operazione, il suo trabiccolo governativo finirebbe in qualche garage di Rignano sull’Arno: le reazioni del mercato internazionali sarebbero tali da affondare il sistema creditizio italiano. Essì: oggi, la spada di Damocle sulla testa del ducetto toscano non è tanto il vituperato Referendum costituzionale bensì la bomba delle banche marce italiane.
Sembra che anche in terra brasiliana chieda continuamente notizie sull’andamento del titolo. Lo avrebbe fatto anche questa mattina. Alle 10 di stamattina è a meno 0,6 con un valore di 26 centesime per azione (un anno fa era 1,9). Un anno fa, dalla poltroncina bianca di “Porta a Porta” Renzi invitava a comprare azioni Mps: in 12 mesi i titoli si sono svalutati del 700 per cento!
Il premier, quindi, sa benissimo che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a doppio filo al successo dell’operazione messa in pieni da Jp Morgan e Medioanca. Più di un “no” al referendum. Berlusconi e Parisi, infatti, se il Ducetto di Rignano dovesse perdere la consultazione, non chiederebbero le dimissioni.
Ma se fallisse l’operazione Montepaschi, allora sì che sarebbero dolori… Sa bene di essersi esposto oltre ogni livello di guardia per un’operazione che non sta in piedi. Il Monte oggi vale un miliardo e ne chiede 5 di aumento di capitale.
In più c’è il caso Unicredit. Anche Jean-Pierre Mustier deve fare un aumento di capitale. E qui cade il cazzone: perché il mercato italiano non può sopportare due aumenti di capitale di tale portata: 5 miliardi per MPS, 7 per Unicredit. Ed ovviamente se qualcuno deve mettere denari in una banca, di certo preferisce metterli in Unicredit piuttosto che nel Montepaschi.
fabio gallia claudio costamagna piercarlo padoan
Così, per salvarsi le chiappe il premier sta muovendo tutte le leve a disposizione per convincere Mustier a far slittare l’aumento di Unicreditsuccessivamente a quello di Siena. Ma anche Unicredit ha fretta: ieri è tornata a cedere oltre il 2 per cento in Borsa. Identiche leve le sta attivando per convincere Generali, Poste Vita e le Casse previdenziali (che si sono chiamate fuori) a partecipare al Fondo Atlante 2. L’unico che ha risposto all’appello è stato Unipol: Carlo Cimbri ha deliberato di investire fino a 100 milioni di euro nel fondo Atlante 2.
Insomma, Renzi si sta sbilanciando oltre ogni limite concesso ad un presidente del Consiglio, pur di difendere l’operazione Montepaschi. Sa che c’è in gioco il suo futuro. Si è lasciato convincere da Jamie Dimon. Ma soprattutto dall’accoppiata Grilli-Costamagna. Il primo, ex ministro dell’economia (nonché direttore generale del Tesoro) ed ora responsabile per l’Italia della banca d’affari americana; il secondo, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che lui stesso ha volto in quel posto.
A questo punto non resta che aspettare settembre; con tutti i rischi che ne possono seguire. Alla ripresa dopo le vacanze sarebbe stato schedulato l’aumento di capitale di Montepaschi. L’idea di farlo slittare a dopo il referendum sarebbe stata accantonata dopo il -16 per cento di martedì. La data sarebbe stata giudicata troppo lontana dal mercato.
Nella testa di Matteuccio s’è fatta largo, nel frattempo, l’idea di tacitare le tensioni politiche attraverso una modifica dell’Italicum. Come diversivo alla vicenda bancaria. Tant’è che sembra stia facendo pressioni sulla Corte Costituzionale per bocciarlo; se non tutto, almeno in parte. Magari in quella che affida il premio di maggioranza ad un solo partito.
Alessia Ferruccio e Vittorio Grilli
La Consulta si pronuncerà ad ottobre. Se passasse una modifica dell’Italicum imposto dai giudici costituzionali, lui avrebbe la scusa per modificarlo ed affidare il premio di maggioranza alla coalizione. In tal modo, farebbe contenta la minoranza interna, il “senza quid” Alfano; e pure Berlusconi, che potrebbe così ricompattare il centrodestra. Chi si incazzerà di sicuro saranno i pentastellati di Grillo che con l’Italicum by Renzi-Boschi si sentono già a Palazzo Chigi. La loro rivincita, di certo, si chiama Referendum dove andranno, come un sol uomno, a infilare il loro No nelle urne.
Le puntate sono tutte sul tavolo verde. Ma il vero rischio è l’aumento di capitale del Montepaschi. Tant’è che sembra che al ministero dell’Economia sia stata costituita una task force di esperti qualora, fallito l’aumento di capitale, si dovesse scatenare una corsa allo sportello” dei piccoli risparmiatori. I grandi se ne sono già andati.
A quel punto, il pallino tornerebbe nelle mani di Piercarlo Padoan, da sempre contrario alla soluzione individuata dal premier. E si aprirebbero le porte del “bail in”, magari salvaguardando gli obbligazionisti; circostanza non garantita da Grilli e Costamagna. E proprio dai corridoi di Via Venti Settembre arriva lo spiffero che dalle stanze di Quintino Sella avrebbero ben visto l’operazione prospettata da Passera e Tononi. Fallita sul nascere perché il presidente del Montepaschi si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento perché temeva di essere accusato di fare inciucio: lui restava all presidenza, Corradino sulla poltrona di amministratore delegato..
La ricostruzione della vicenda sarebbe stata fatta da Sergio Ermotti, amministratore delegato di Ubs, ad un gruppo di banchieri svizzeri. Ed Ubs era in cordata con Passera.