Gian Maria De Francesco per il Giornale
Matteo Renzi ha inviato un «pizzino» alla classe dirigente politica ed economica italiana a mezzo Sole 24 Ore.
In pratica, l'ex premier ha scritto una lunga lettera con la quale ha dato il proprio personale ok alla commissione d'inchiesta sui crac bancari che, approvata dalla commissione Finanze del Senato, aspetta da una settimana di andare in Aula. «Non abbiamo scheletri nell'armadio, anzi aspettiamo con curiosità che il Parlamento approvi finalmente la commissione di inchiesta sulle banche», ha scritto sottolineando che «sarà interessante andare a capire in questi dodici mesi le vere responsabilità, a tutti i livelli istituzionali e politici».
Messo alle strette sull'inchiesta Consip, il candidato numero uno alla segreteria del Pd ha scelto di contrattaccare sparando sugli alleati di un tempo che ora, approfittando dei risvolti famigliari dell'inchiesta, lo stanno abbandonando. Ultima in ordine di tempo la senatrice Monica Cirinnà, estensore delle unioni gay, passata armi e bagagli con Orlando.
E anche il «defenestrato» Enrico Letta ha rimproverato a Renzi lo scarso garantismo che mostrò verso i componenti del suo esecutivo. «Non userò nei suoi confronti mai il comportamento che Renzi ha usato nei miei confronti», ha detto ieri.
«Per me, per noi, la parola trasparenza è un concetto irrinunciabile. Spero lo sia anche per tutti gli altri partiti e soggetti coinvolti», la stilettata finale di Renzi.
La commissione d'inchiesta sarebbe una formidabile occasione mediatica per mettere alla gogna i vertici delle istituzioni finanziarie italiane, a partire dall'ex governatore di Bankitalia e attuale presidente Bce, Mario Draghi, dal suo successore a Palazzo Koch, Ignazio Visco, e dal capo della Consob, Giuseppe Vegas. Tutti costoro potrebbero essere politicamente «imputabili» di qualche omissione.
Certo, Renzi nella lettera dice e non dice. La parte iniziale del testo verte interamente sulla riforma delle banche popolari approvata due anni fa dall'esecutivo da lui guidato, rimarcando come la situazione disastrosa di Banca popolare di Vicenza e di Veneto banca non avrebbe potuto essere scoperta senza l'abolizione del voto capitario che ha scardinato «un modello di vertici autoreferenziali, superpagati e immodificabili nel tempo», responsabili della mala gestio.
Nel «non detto», invece, c'è il caso Monte dei Paschi di Siena, che sarebbe il vero oggetto di indagine della commissione che dovrebbe far luce sulle commistioni tra finanza, centrosinistra a trazione dalemiana e imprese «amiche». Una situazione che si è replicata anche in altri istituti andati in crisi, seppur con differenti referenti politici a seconda delle coloriture locali del Pd.
Renzi tramite il quotidiano confindustriale non si rivolge solo ai «suoi», ma a tutto l'establishment (non a caso ha citato i circa 20 miliardi di perdite accumulati dalle Popolari tra 2011 e 2016). Se il mondo di Renzi dovesse essere fiaccato per via giudiziaria, non sarà il solo universo a collassare. Il capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta e la leader di Fdi Giorgia Meloni hanno stigmatizzare l'ex premier i cui parlamentari hanno cercato fin qui di rallentare l'avvio della commissione.