roberto calderoli maria elena boschi
Via libera della Camera al disegno di legge sulle riforme costituzionali. Su 489 presenti, i voti favorevoli sono stati 357, i contrari 125 e sette gli astenuti. Il Movimento 5 stelle non ha partecipato al voto, Forza Italia ha votato contro. Il provvedimento torna ora all’esame del Senato. Durante le dichiarazioni di voto che hanno preceduto la chiama nell’Aula si sono riaccesi i toni soprattutto dai banchi delle opposizioni.
IL M5S RESTA FUORI
Il Movimento 5 Stelle non è entrato in aula. Ad annunciarlo su Facebook era stato il deputato Danilo Toninelli, definendo la riforma una “schiforma”. «L’auspicio è che se ne stiano fuori anche coloro che con noi hanno lottato per difendere la Costituzione, evitando così di legittimare un truffatore semantico, quale è Renzi, in questo ennesimo attacco alla democrazia».
FORZA ITALIA E LEGA VOTANO NO
Decisione diversa quella di Forza Italia, che già ieri sera aveva fatto sapere tramite il suo capogruppo alla Camera Renato Brunetta che sarebbe stato presente in aula ma per votare no al ddl Boschi. Già domenica, durante una telefonata nel corso di un’iniziativa elettorale a Bari, Silvio Berlusconi aveva annunciato: «Voteremo no alle riforme» per contrastare “l’arroganza e la prepotenza di un Partito democratico che è stato incapace di cambiare se stesso e il Paese”. Sulla stessa linea la Lega Nord, il cui capogruppo Massimiliano Fedriga aveva annunciato il no al disegno di legge.
LA LETTERA DEI DEPUTATI DI FI A BERLUSCONI
«Caro Presidente, desideriamo rappresentarti il nostro profondo disagio e dissenso rispetto alla decisione di votare contro le riforme istituzionali all’esame della Camera». È questo il testo della lettera inviata da 18 parlamentari di Forza Italia a Silvio Berlusconi in cui si difende il patto del Nazareno ma si critica fortemente la gestione sia del gruppo della Camera che dell’intero partito. I deputati, in larga parte vicini a Denis Verdini, rivendicano il lavoro sulle riforme e annunciano il loro no solo per «affetto» verso il Cavaliere.
IN AULA PER IL NO ANCHE SEL
«Sinistra Ecologia Libertà in aula a Montecitorio sulla riforma di un terzo della Costituzione per votare convintamente contro». Lo aveva annunciato il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto. «Non lo facciamo - ha insistito Scotto - per una concessione alla maggioranza ma per difendere il Parlamento. Vogliamo evitare che le ingerenze del governo Renzi continuino a segnare la storia di una riforma sbagliata».
NCD: SI’ A RIFORMA COSTITUZIONALE
Dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e dal suo partito, il Nuovo centrodestra, era arrivato invece su Facebook il sì deciso alla riforma: «La riforma costituzionale significa: leggi più veloci (con il superamento del bicameralismo perfetto), meno parlamentari (con la cancellazione del vecchio Senato), più voce ai territori, cioè Comuni e Regioni (grazie alla composizione del nuovo Senato). Quindi: Istituzioni più moderne ed efficienti. Noi voteremo sì a questa riforma perché siamo stati e vogliamo continuare a essere protagonisti del cambiamento in atto nel nostro Paese. Stiamo facendo ciò che abbiamo sempre detto di volere fare».
PD FINO ALL’ULTIMO IN FERMENTO
Mentre le maggioranza dem ha sostenuto con convinzione sì al ddl Boschi, la minoranza ne ha discusso fino all’ultimo. Ieri il presidente Pd Matteo Orfini ha spiegato che si sarebbe cercato «fino all’ultimo minuto di trovare il consenso più ampio possibile». Anche Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd, aveva detto di aspettarsi «il sostegno e l’impegno di tutti», dichiarando di non capire il dietrofront di Forza Italia.
In serata erano state due le riunioni della minoranza dem per decidere come comportarsi in aula. Pippo Civati sul suo blog aveva annunciato che non avrebbe votato il ddl, ma Cesare Damiano ieri sera aveva annunciato «l’area riformista voterà sì». «Al punto in cui siamo arrivati - la spiegazione di Davide Zoggia - è difficile non votare la riforma Boschi. Sarà un dissenso contenuto. Non la voteremo in cinque o sei: io, D’Attorre, Fassina, ma è ancora da decidere. La battaglia si sposta ora sulla legge elettorale».
COSA CAMBIA
Con il sì della Camera al disegno di legge sulle riforme si avvicina la fine del bicameralismo perfetto. In futuro il Senato sarà composto da 95 senatori eletti dai consigli regionali e cinque nominati dal Presidente della Repubblica (resteranno in carica per sette anni) e avrà competenza piena solamente sulle leggi costituzionali, mentre la Camera potrà anche non tenere conto di eventuali richieste di modifica a leggi ordinarie avanzate da Palazzo Madama.
Sarà quindi la sola Assemblea di Montecitorio a votare la fiducia al Governo. I senatori avranno l’immunità parlamentare e verranno comunque chiamati ad eleggere il capo dello Stato in seduta comune con i deputati (cambierà anche la sequenza del quorum necessario: due terzi dei componenti per i primi tre scrutini, tre quinti dal quarto e tre quinti, ma dei votanti, dal settimo). La riforma costituzionale andrà a incidere anche sul Titolo V, con il ritorno allo Stato delle competenze su una serie di settori, come l’energia, le infrastrutture e le grandi reti di trasporto.
Viene inoltre introdotta la soppressione della norma in base alla quale le Province sono ente costitutivo della Repubblica. È poi introdotta la cosiddetta «clausola di supremazia», in base alla quale la legge statale, su proposta del Governo,- può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero al tutela dell’interesse nazionale. Viene inoltre soppresso il Cnel.