Federico Capurso per “la Stampa”
A metà pomeriggio, nella sede romana del Movimento 5 stelle, si studiano le prime proiezioni del voto nelle città e la massima indecisione è se questi risultati, per dirla con uno dei parlamentari presenti, siano «un flop o un flop totale». I Cinque stelle non hanno mai brillato alle Amministrative, ma questo è il peggior risultato di sempre. Il consenso raccolto nelle grandi città, in media, è del 2,1%.
L'ultima speranza è legata ai risultati di Taranto, il fortino dove Conte ha chiuso la campagna elettorale. Il candidato della coalizione vola verso la riconferma, ma quando appare sugli schermi dei cellulari il 4,3 per cento incassato dalla lista M5S, un big del partito si alza e con un sorriso amaro mima una serranda che viene abbassata: «Va bene, chiudiamo tutto».
L'analisi della sconfitta che Conte offre a La Stampa ha un sapore altrettanto amaro: «Non sono qui per nascondermi. I dati che emergono sono dati che non ci soddisfano». Il Sud doveva essere un fortino e invece si è rivelato una groviera.
E Palermo è forse la delusione più forte. Il caso dei seggi rimasti chiusi è «grave», dice Conte. «Non metto un'ipoteca su quei voti persi, ma se ci saranno gli estremi, faremo ricorso». Questa débâcle, assicura, non avrà però riflessi negativi né sul governo né sull'alleanza con il Pd.
Sa già che i parlamentari più delusi punteranno il mirino su palazzo Chigi e sul progetto di intesa con i Dem. Lo stesso Conte ammette che un pezzo di sconfitta nasce anche dalla scelta di restare in maggioranza: «Avendo appena girato l'Italia, posso dire di aver riscontrato che molti vivono con sofferenza il nostro appoggio al governo Draghi».
giuseppe conte al seggio per il referendum sulla giustizia 2
Si affretta però a precisare che «dopo aver fatto finora un percorso di responsabilità, non si può pensare che di fronte a un'insofferenza o a un risultato elettorale che non ci soddisfa, noi decidiamo di staccare la spina all'esecutivo». E scaccia l'ipotesi di ripercussioni sul progetto con i Dem: «Non c'è un problema di alleanze», mette in chiaro.
A chi, nelle file del Pd, brinda e gongola di fronte alla prospettiva di sganciarsi dai Cinque stelle per abbracciare altre forze, come quella di Carlo Calenda, ribatte: «Le reazioni di alcune correnti interne al Pd non tengono conto dell'orizzonte politico nazionale. Non è il risultato alle Amministrative che può essere determinante per questa alleanza». Conte vuole risolvere innanzitutto le grane che ha in casa. Non ne cerca altre fuori.
«Il problema - dice - è nostro, interno. Si deve fare ammenda e ammettere che siamo in ritardo nel lavoro sui territori». Riconosce che i dissidi con Luigi Di Maio dopo la partita del Quirinale e gli ultimi inciampi giudiziari «hanno frenato la fase due del nostro progetto, ma ora il Movimento si deve rilanciare».
Sembra quasi che Conte addossi questo peccato originale soprattutto ai rapporti con Di Maio e con gli attivisti che hanno fatto per due volte ricorso contro la sua elezione. Per colpa loro, sottolinea, «non abbiamo ancora avviato la costituzione dei gruppi territoriali e dei referenti territoriali. Non abbiamo nemmeno un'anagrafe degli attivisti».
luigi di maio giuseppe conte meme by carli
L'ex premier, nel suo tour, si è reso conto che la struttura del Movimento a livello locale è inesistente. La sentenza del tribunale di Napoli, attesa nei prossimi giorni, potrebbe però mettere un nuovo ostacolo sulla sua strada decapitando per la seconda volta i vertici del partito. Conte si mostra ottimista, «non ci aspettiamo da Napoli una novità negativa», e in ogni caso, aggiunge, «ci siamo preparati, in sicurezza». Il piano B potrebbe essere un partito di Conte? Lui assicura di no, offrendo il primo sorriso della giornata. Il pensiero, quanto meno, sembra provocargli un certo piacere.
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