Ilario Lombardo per la Stampa - Estratti
Il ritorno è già uno show.
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Un video per annunciare di aver ripreso a lavorare dopo giorni di silenzio e invisibilità. La battuta irridente rivolta ai giornali e ai partiti che, dopo quasi 48 ore senza notizie, avevano semplicemente chiesto dove fosse la presidente del Consiglio, presidente di turno anche del G7: «Eccomi qua, sono ricomparsa! Richiamate tutte le unità, sono a Palazzo Chigi!». La posa da influencer, il sarcasmo dei filmati casalinghi di Instagram, la voglia tenace di farne una questione di privacy e non di trasparenza istituzionale.
Primo giorno dopo la pausa estiva. Giorgia Meloni ha di fronte a sé mesi lunghi, complessi, non pacifici. La prima manovra da calibrare sulle nuove regole fiscali europee, innanzitutto. I soldi sono pochi, troppe invece le proposte dei partiti di maggioranza. Lo spazio è ristretto e la premier ha già in mente di ribadire che gli obiettivi saranno chirurgici (Irpef e cuneo fiscale).
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Che è in sostanza quello che tra una settimana dirà agli imprenditori e manager riuniti a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, subito prima di volare a Parigi per le Paralimpiadi. È la prima volta di Meloni da presidente del Consiglio al meeting economico sul lago di Como, dove è atteso anche Viktor Orban, presidente di turno della Ue: la presenza della leader punta anche a rassicurare una platea complicata, pragmatica, che guarderà con il solito scetticismo alla difesa d'ufficio sull'operato del governo.
Ma non sono solo le fatiche della finanziaria a preoccupare Meloni. L'autunno che viene potrebbe essere segnato da un conflitto politico a più alta intensità.
Dentro e fuori dalla maggioranza. L'opposizione si sta riorganizzando e non sfugge alla premier quanto la raccolta estiva delle firme contro l'Autonomia, e i ricorsi delle Regioni guidate da giunte del Pd o in alleanza con la sinistra e il M5S, siano una piattaforma di dibattito perfetta per indebolire il governo e strutturare un'alternativa in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. È una legge che ha imposto la Lega, che Meloni non voleva e che non riesce fino in fondo a giustificare davanti agli elettori, come ammettono tutte le fonti di Fratelli d'Italia.
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Né è d'aiuto il fatto che l'altro alleato resti poco convinto della bontà della riforma.
Forza Italia sta diventando un caso agli occhi di Meloni.
Il partito che dopo la morte del fondatore Silvio Berlusconi sarebbe dovuto diventare poco meno che un'appendice di FdI, un satellite inglobato dall'egemonia meloniana, si sta rendendo più autonomo e più audace, grazie anche al sostegno, maggiore rispetto a un anno fa, dei figli del patriarca (datori di lavoro dell'ex compagno della premier a Mediaset).
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Antonio Tajani è sopravvissuto alle profezie più nefaste, e le ultime settimane di dibattito sullo ius scholae che hanno visto gli azzurri da una parte e Meloni assieme a Matteo Salvini dall'altra, gli hanno dato nuovo vigore. La premier ha già dato mandato di sterilizzare in Parlamento ogni tentativo di collaborazione tra forzisti e sinistra sulla cittadinanza, e questo prova che la vivacità di Forza Italia sta innervosendo l'inquilina di Palazzo Chigi.
Che Meloni abbia voglia di rimettere se stessa maggiormente al centro della contesa politica lo dimostra anche l'annuncio che sarà lei in persona a presiedere l'esecutivo di FdI, il 4 settembre, il primo a essere convocato dopo due anni. In quell'occasione verrà ratificata l'espulsione del deputato Andrea de Bertoldi, e Meloni terrà un discorso motivazionale per caricare i parlamentari.
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C'è una sfida, su tutte le altre, che nel 2025 entrerà nel vivo e rianimerà il falò della politica. Nelle intenzioni della leader, la spinta sulla riforma costituzionale del premierato servirà anche a compensare le difficoltà sull'Autonomia - per ovvie ragioni soprattutto al Sud - e rispondere a chi l'accusa di favorire lo sgretolamento dell'unità nazionale.
Dopo il via libera del Senato, la legge è attesa alla Camera, dove FdI sta preparando una serie di modifiche nel tentativo, improbabile, di ammorbidire l'opposizione, smussando alcune delle parti più controverse del testo che, secondo la gran parte dei costituzionalisti, accentra i poteri nelle mani presidente del Consiglio, indebolendo Capo dello Stato e Parlamento.
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