1. QUANTE BALLE INVENTÒ L’FBI PUR DI ROVINARE TRUMP
Estratto dell’articolo di Carlo Nicolato per “Libero quotidiano”
Sì è vero, sostiene la sinistra, quella italiana compresa, il consigliere speciale John Durham scrive nel suo rapporto finale sul Russiagate che l’Fbi non avrebbe mai dovuto avviare un'indagine sui collegamenti tra la campagna di Donald Trump e la Russia durante le elezioni del 2016 perché non c’erano prove, ma non c’è stato nessun complotto, niente di clamoroso che già non si sapesse, come alcuni degli episodi «citati nel report che sono già stati evidenziati e analizzati dal dipartimento Giustizia». E poi chi è questo John Durham? Un procuratore «nominato da The Donald per fare luce sull’inchiesta», scrive Repubblica, un uomo di Trump con poca attendibilità.
Insomma, il rapporto che distrugge definitivamente la teoria che per anni ha tenuto banco su tutte le pagine dei giornali costituendo la base per trasformare Trump in un mostro politico, è stato liquidato con un’alzata di spalle.
Eppure in quelle 300 pagine ce n'è di che gridare allo scandalo, o al “tradimento” come ha scritto Trump su sul suo social Truth, e tanto per cominciare val la pena sottolineare che Durham non è affatto uomo di Trump, nessuno ha mai avuto dubbi su di lui, tantomeno i Dem che hanno votato la sua nomina.
l agente del dipartimento di stato usa che secondo bradley johnson e' invischiato nel complotto delle elezioni in usa
[…] Il senatore democratico del Connecticut Chris Murphy all'epoca disse alla Cnn che Durham aveva «la reputazione di essere apolitico e serio» e il fatto che fosse già stato scelto per gestire indagini sensibili […] sia nell'amministrazione democratica che in quella repubblicana durante la sua decennale carriera presso il Dipartimento di Giustizia ne è una prova.
Ai tempi sembrava che Trump avesse venduto l’America alla Russia, si parlava di alto tradimento, di impeachment, di infamia per gli Stati Uniti. Non passava giorno che i giornali non titolassero sul tycoon e il Russiagate […]. Poi nel 2019 è arrivato il primo rapporto che scagionava Trump, quello del procuratore Robert Mueller, in cui si sosteneva che non vi fossero prove di collusione fra la campagna di Donald Trump del 2016 e la Russia.
Infine quello di Durham, in cui si va oltre, si dice che l'Fbi ha utilizzato «intelligence grezza, non analizzata e non corroborata» per avviare l'indagine “Crossfire Hurricane” (il Russiagate) su Trump e la Russia. E si sottolinea che la stessa Fbi ha usato due pesi e due misure quando si trattava della campagna elettorale di Hillary Clinton.
donald trump alla casa bianca con sergei lavrov e sergei kislyak
[…] In proposito nel rapporto c’è anche spazio per il dossier Steele, quel documento realizzato dall’ex spia britannica Christopher Steele e finanziato tra gli altri dal Comitato nazionale democratico e dalla Campagna di Hillary Clinton, utilizzato dall’Fbi per ottenere un Fisa warrant, cioè un mandato di sorveglianza rilasciato dalla United States Foreign Intelligence Surveillance Court, per tenere sotto controllo la campagna di Trump, in particolare il consigliere Carter Page che sarebbe diventato poi uno dei fulcri della accuse a suo carico.
Il bersaglio ideale, dato che quest’ultimo ha lavorato in Russia, conosce il russo e viene indicato nelle carte come putiniano di ferro. Page diventa a sua insaputa anche il protagonista di un articolo pubblicato su Repubblica dal significativo titolo “Il manuale del Cremlino per reclutare spie russe in America”.
Ebbene mentre il dossier Mueller ha già da tempo scagionato da tutte le accuse il Page, il successivo di Durham ha stabilito che il documento utilizzato per inchiodarlo, lo Steele, era inattendibile, «non controllato e non verificato». […]
vladimir putin regala una palla del mondiale a trump
2. IL PROCURATORE USA INCHIODA L’FBI: «RUSSIAGATE AVVIATO SENZA PROVE»
Estratto dell’articolo di Stefano Graziosi per “La Verità”
[…] Pur non escludendo categoricamente che potessero esserci gli estremi per un’inchiesta preliminare, Durham ha concluso che non vi fossero sufficienti evidenze per giustificare un’indagine vera e propria ai danni del comitato di Trump. Non solo. Alla base dell’avvio di quell’inchiesta vi sarebbero state delle motivazioni di faziosità politica. Secondo il procuratore, alcuni agenti federali mostravano infatti una «chiara inclinazione» a mettere Trump sotto indagine.
In particolare, viene citato il caso di Peter Strzok: uno dei responsabili dell’apertura di Crossfire Hurricane che, secondo il rapporto, «aveva come minimo manifestato sentimenti ostili nei confronti di Trump». Un ulteriore elemento problematico messo in luce da Durham è quello della differenza di trattamento che l’Fbi ha riservato a Hillary Clinton.
«La velocità e il modo in cui l’Fbi ha aperto e indagato su Crossfire Hurricane durante la stagione delle elezioni presidenziali sulla base di informazioni grezze, non analizzate e non corroborate riflette anche un notevole allontanamento dal modo in cui si è rapportato a questioni precedenti, che coinvolgevano possibili tentativi di piani di interferenza elettorale straniera diretti alla campagna della Clinton», prosegue il rapporto.
Mentre l’Fbi informò il comitato dell’allora candidata dem quando si presentarono rischi di infiltrazioni straniere, non fece altrettanto con quello di Trump. E non è finita qui. A luglio 2016, l’intelligence americana entrò in possesso di informazioni, secondo cui la Clinton aveva predisposto un «piano» per accusare falsamente Trump di legami con Mosca.
Di questo presunto piano furono informati dalla Cia l’allora presidente americano, Barack Obama, e l’allora vicepresidente, Joe Biden. Eppure non sembra che l’Fbi abbia aperto un’indagine per verificare se tali informazioni relative all’ex first lady fossero fondate o meno.
«Ciò», ravvisa il rapporto, «è in netto contrasto con la sostanziale fiducia [del Bureau] nel dossier di Steele, che non era corroborato e che almeno alcuni membri del personale dell’Fbi sembravano sapere che era probabilmente finanziato o promosso dal comitato della Clinton».
Il riferimento è al fatto che, in barba a ogni cautela, i federali presero per oro colato il dossier dell’ex spia britannica, Christopher Steele: documento da subito ritenuto controverso e rivelatosi poi dal contenuto infondato, oltre che finanziato dal comitato della stessa Clinton. Un documento che, ricordiamolo, accusava Trump di essere ricattato dal Cremlino e che fu usato dal Bureau per ottenere i mandati di sorveglianza ai danni del comitato elettorale dell’allora candidato repubblicano.
[…] Inoltre, la principale fonte del dossier di Steele era Igor Danchenko: figura che lo stesso Fbi aveva messo sotto indagine tra il 2009 e il 2011 per sospetti legami con i servizi russi. «Sembra che l’Fbi non abbia mai preso in considerazione la possibilità che le informazioni di intelligence che Danchenko stava fornendo a Steele - che, ancora una volta, secondo Danchenko stesso, costituivano la maggioranza significativa delle informazioni nel dossier di Steele - fosse tutta o in parte disinformazione russa», afferma il report di Durham.
Per di più, Danchenko «manteneva un rapporto» con Charles Dolan: ex funzionario del comitato nazionale del Partito democratico ed ex consigliere della Clinton, che - secondo Durham - fu tra le fonti del dossier di Steele. Dolan aveva legami con la Russia e, in particolare, con il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Insomma, si ribalta la prospettiva. Contrariamente a quello che è sempre stato detto, la disinformazione russa potrebbe aver aiutato la Clinton anziché Trump. […] La questione irromperà quindi prevedibilmente nella campagna elettorale per le presidenziali del 2024. E potrebbe avvantaggiare notevolmente Trump.
trump putin russiagate Comey donald trump la cnn ammette di aver toppato lo scoop su trump e russiagate e lo cancella dal sito la copertina del daily news su trump e putin john bonifield project veritas cnn bullshit 1 trump temperino putin