Marco Bresolin per “la Stampa”
THIERRY BRETON EMMANUEL MACRON
Nel caso in cui dovessero interrompersi le forniture di gas dalla Russia, per compensare il fabbisogno energetico sarà necessario rinviare la chiusura delle centrali nucleari e riattivare quelle a carbone. Thierry Breton ha lavorato a un piano di contingenza che, attraverso un'articolata serie di interventi, permetterebbe di sostituire completamente i 155 miliardi di metri cubi di metano che l'Ue importa da Mosca.
Serviranno però «misure estreme», avverte il commissario all'Industria e al Mercato interno, che svela i dettagli del piano in questa intervista a La Stampa proprio nel giorno in cui arriva in Italia per una visita dedicata alla trasformazione dell'industria automobilistica: oggi sarà al Centro comune di ricerca di Ispra e poi a Torino per visitare lo stabilimento di Mirafiori in cui viene prodotta la 500 elettrica.
L'Europa sta affrontando una delicata crisi energetica, per ora limitata ai prezzi, ma con il rischio che si trasformi in una crisi delle forniture: l'industria europea riuscirebbe a supportare il colpo?
«È importante ricordare una cosa fondamentale: il mix energetico dipende esclusivamente dalle scelte degli Stati. Alcuni sono stati prudenti, hanno diversificato, garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti, altri no».
Si riferisce all'Italia?
«Io non sono qui per giudicare, ma per fare una costatazione. Guardiamo alla Germania: ha scelto di fermare le centrali nucleari, passando a un maggior utilizzo del gas e del carbone russi. L'Italia ha deciso di avere nel suo mix energetico il 40% di gas, con il 40% di questo che arriva dalla Russia. Ripeto: il mio non è un giudizio, ma una costatazione. Oggi siamo in una situazione difficile perché ogni anno importiamo 155 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia. La sola Italia ne acquista 30 miliardi, il 20%. E questa dipendenza è stata scelta».
Crede che un'eventuale crisi d'astinenza sia gestibile?
«Sappiamo benissimo qual è la situazione e bisogna avere un piano per fare eventualmente a meno del gas russo e sostituirlo, se necessario. Ci sono però due tavoli diversi. Il primo riguarda le sanzioni: spetta ai capi di Stato e di governo decidere se bloccare il gas russo, visto che con gli acquisti finanziamo la guerra con 800 milioni di dollari al giorno. O magari potrebbe essere la stessa Russia a chiudere i rubinetti per punire l'Ue. Io, in quanto responsabile del mercato interno, ho il dovere di mettere a punto un piano per essere pronti all'evenienza. Nella speranza di non usarlo».
Cosa prevede?
«Entro la fine dell'anno possiamo sostituire 50 miliardi di metri cubi di gas con l'aumento delle forniture di gas naturale liquefatto, anche se ovviamente bisogna incrementare la rigassificazione. Altri 10 miliardi via gasdotto, soprattutto a Sud, dal Nord Africa o dall'Est. Possiamo inoltre ridurre il consumo abbassando termosifoni e climatizzatori e accelerando il risparmio energetico: circa 14 miliardi. E poi spingere il biometano, così come i progetti per l'eolico e il solare: ulteriori 25 miliardi».
GASDOTTO TRA RUSSIA E CINA - POWER OF SIBERIA 2
Siamo a circa 100 miliardi di metri cubi: vuol dire che in caso di interruzione improvvisa delle forniture avremmo un gap di 50 miliardi di metri cubi?
«In una situazione estrema avremmo bisogno di misure estreme. Penso alle centrali a carbone: si potrebbe decidere di non chiuderle oppure di riaprirle. Questo ci permetterebbe di sostituire 20 miliardi di metri cubi di gas, di cui 14 dalla sola Germania. Stesso discorso per le centrali nucleari, che garantirebbero l'equivalente di 12,5 miliardi di metri cubi di gas. Ovviamente dovremmo trovare il modo per redistribuire l'energia e aiutare, con spirito di solidarietà, quei Paesi che hanno scelto di essere più dipendenti dal gas e in particolare da quello russo».
GASDOTTO TRA RUSSIA E CINA - POWER OF SIBERIA 2
Questo eviterebbe alle imprese di rallentare l'attività produttiva?
«Molte industrie che usano il gas, come ad esempio le acciaierie, potrebbero usare l'olio combustibile. Permetterebbe di risparmiare 10 miliardi di metri cubi di gas. È molto difficile, lo so. Ma viviamo in un'epoca difficile, c'è una guerra in corso. I Paesi dovrebbero inoltre avviare acquisti e stoccaggi congiunti. In parallelo serve una riflessione per fare in modo che il prezzo dell'elettricità non sia più legato a quello del gas perché oggi assistiamo a un'assurdità».
Lei oggi arriva in Italia e, tra le altre cose, visiterà lo stabilimento di Mirafiori: l'industria automobilistica europea è sulla buona strada per la transizione ecologica?
«Sto visitando diversi ecosistemi industriali per vedere come stanno affrontando la doppia trasformazione, verde e digitale. Vorrei ricordare che un ecosistema non è composto solo da 6-7 grandi imprese, ma da centinaia di migliaia. E tutto l'ecosistema va trasformato. Come per le piattaforme del Web, i grandi gruppi hanno delle responsabilità, per questo serve che ognuno faccia la propria parte. Il settore dell'automobile coinvolge 1,8 milioni di imprese e 15 milioni di lavoratori: tutti devono essere coinvolti nella trasformazione».
L'Ue ha deciso che dal 2035 non sarà più possibile immatricolare veicoli con motore a combustione interna: l'obiettivo è alla portata?
«Oggi incontrerò i vertici di Stellantis e porterò loro un messaggio: c'è tempo. Io non incoraggio i costruttori ad accelerare perché altrimenti rischiamo di pagare un prezzo più caro per la transizione. Voglio inoltre assicurarmi che questo non impedirà alle imprese di vendere le auto con motore a combustione fuori dall'Europa dopo il 2035.
Penso al mercato americano, africano o asiatico. Anzi, io li incoraggio a farlo. Ovviamente con norme per renderle meno inquinanti. Ne parlerò con i vertici di Stellantis per cercare di capire come intendono affrontare la transizione, senza brutalità, coinvolgendo l'intero ecosistema».