GIUSEPPE CONTE DOPO L INCONTRO CON MARIO DRAGHI A PALAZZO CHIGI
Niccolò Carratelli per “la Stampa”
La parola magica è «gradualità». Quella che dovrà accompagnare l'aumento delle nostre spese militari fino al 2% del Pil nei prossimi anni. Quella che consente a tutta la maggioranza di votare oggi, più o meno compatta, la fiducia al governo sul decreto Ucraina. Il provvedimento è arrivato in aula a palazzo Madama senza mandato al relatore, ufficialmente perché i pareri della commissione Bilancio non sono arrivati in tempo.
In questo modo, però, sono stati fatti decadere tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno approvati in commissione, compreso quello presentato da Fratelli d'Italia che impegnava il governo ad aumentare le spese militari al 2% del Pil rispettando gli impegni assunti in sede Nato. Un odg accolto dall'esecutivo, tra le proteste del Movimento 5 stelle, deciso ad alzare le barricate su un orizzonte di spesa così ravvicinato.
E allora, sfruttando gli spazi regolamentari, è stata creata questa via d'uscita, che risolve lo scontro politico, ma non modifica il quadro normativo: il decreto che oggi sarà votato al Senato, di fatto, è quello uscito dalla Camera, dove tutta la maggioranza (M5s compreso), aveva già approvato un ordine del giorno "gemello" di quello fatto saltare ieri. Ma i senatori 5 stelle, guidati dalla vicepresidente Paola Taverna, cantano vittoria: «Abbiamo sgomberato il campo da confusioni strumentali tra cose scollegate tra loro: - dicono - da una parte le misure a sostegno dell'Ucraina che il M5s sosterrà in aula, dall'altra scelte di bilancio nel settore Difesa che vanno discusse e approfondite senza fretta e nelle opportune sedi».
LORENZO GUERINI - LUIGI DI MAIO
Decisiva, per uscire dall'angolo, è stata anche la nota diffusa ieri dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ha spiegato di voler centrare l'obiettivo del 2% del Pil per le spese militari con «gradualità», puntando a «raggiungere la media di spesa dei Paesi dell'Unione europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, l'obiettivo del 2%».
Quindi quattro anni dopo l'impegno assunto in sede Nato, spalmando i nuovi stanziamenti su un periodo più lungo, esattamente come va chiedendo da giorni Giuseppe Conte. Il presidente M5s ieri ha snocciolato i numeri dei limitati aumenti di spesa autorizzati durante i suoi governi e in serata, parlando al Tg1, non ha mancato di sottolineare come Guerini abbia «abbracciato la prospettiva di una gradualità», ribadendo che, «con famiglie e imprese in difficoltà economica, non ci possiamo permettere di stanziare 10-15 miliardi entro il 2024».
Dal punto di vista dei 5 stelle, per dirla con il sottosegretario all'Interno Carlo Sibilia, «ieri eravamo matti e oggi invece si va sulla linea di Conte». Dall'altra parte, la capogruppo Pd al Senato, Simona Malpezzi, si dice «stupita del racconto fatto dal M5s», perché «Guerini ha sempre detto che le spese per la Difesa crescono gradualmente e in relazione alla compatibilità finanziaria».
In effetti, aveva detto cose simili anche nel novembre 2019, quando il premier era Conte. Il dibattito su chi abbia cambiato idea o dettato la linea interessa poco a Enrico Letta, che ha sollecitato l'intervento di Guerini proprio per raffreddare la temperatura nella maggioranza e sminare il rischio di una crisi di governo. Oggi, a palazzo Madama, Draghi incasserà la fiducia senza problemi, solo con qualche defezione in casa 5 stelle. Una già annunciata, quella del presidente della commissione Esteri, Vito Petrocelli, che voterà contro e sarà espulso dal Movimento.
GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI