Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera
I pontieri per vocazione, ma soprattutto gli amici di entrambi sono già all' opera. Obiettivo: ricucire i rapporti tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Vorrebbero suggellare l' armistizio con un incontro. Impresa ardua, perché le relazioni tra i due, che si erano già logorate l' anno scorso, dal 5 marzo sono ai minimi storici. L' ex presidente del Consiglio e il suo successore, dopo una telefonata di fuoco all' indomani della sconfitta, non si sono rivolti la parola per giorni e giorni.
Eppure qualcosa adesso si muove. Il segretario dimissionario e il premier da qualche tempo in qua hanno ripreso a sentirsi. Certo, non spessissimo, ma dopo il silenzio gelido che era calato tra di loro dal 5 marzo, c' è da registrare questo piccolo cambiamento: ogni tanto si parlano al telefono e si scambiano dei messaggi via WhatsApp. Il partito e la situazione politica sono l' oggetto delle loro conversazioni. Ovviamente restano le distanze, nonostante il tono dei colloqui tra i due sia formalmente cordiale. Distanze che chi nel Partito democratico è loro amico vorrebbe colmare.
«Si devono incontrare, devono chiarirsi, non è possibile che vadano avanti così», spiega un pontiere. Ma il ricordo del 5 marzo è difficile da cancellare sia per Paolo Gentiloni che per Matteo Renzi. Il primo si è sentito mettere sul banco degli imputati: additato come uno dei motivi della sconfitta nelle urne. Già, al presidente del Consiglio non è piaciuto affatto il modo in cui Renzi «ha ricostruito la sconfitta elettorale». «Praticamente me l' ha accollata», si è lasciato sfuggire quel giorno.
E da allora non ha più negato «le divergenze d' opinione» con il segretario dimissionario. Anche quell' accusa di voler brigare con gli altri maggiorenti del Partito democratico per fare un governo che sancisse il «renzicidio» non gli è andata giù: «Stupefacente». In compenso l' ex premier si è sentito scaricato dall'«amico Paolo». Ha pensato che il presidente del Consiglio, come altri big del Pd, lo volesse fare fuori subito (politicamente, si intende).
E non ha gradito nemmeno l' atteggiamento di Gentiloni in campagna elettorale, quando i sondaggi davano per certa la sconfitta del Pd, per quanto non così sonora come poi è stata. «Alcuni nostri candidati non hanno nemmeno proposto il voto sul simbolo del Partito democratico, ma solo sulla loro persona», ha detto l' ex segretario riferendosi alla lettera che Paolo Gentiloni aveva inviato a tutti gli elettori del suo collegio.
Dunque è difficile che i rancori e i risentimenti scivolino via come se nulla fosse. Anche perché si sono accumulati nel corso dei mesi. Con Renzi che non sempre era d' accordo con l' operato del premier e che, ironicamente, lo chiamava «il conte Silveri», usando il suo titolo. E con Gentiloni che mal sopportava i consigli e le iniziative del leader. L' ultimo dissidio, quello sulle banche, li aveva portati a un passo dalla rottura. E poi il premier contestava il modo di agire dell' allora segretario nel partito: «Tu sei il leader, devi unire».
E pensare che agli inizi della loro avventura insieme era invece proprio questo di Renzi che piaceva a Gentiloni: «Quando fa il teppista è grande». Ma erano i tempi in cui Renzi ascoltava volentieri i consigli dell'«amico Paolo». Chi li conosce bene dice: «I caratteri di entrambi rendono difficile una riappacificazione». Ma pontieri e amici insistono e continuano a pensare di poter riuscire a raggiungere questo obiettivo. Riusciranno nella loro impresa? Chissà. Intanto i due hanno ripreso a parlarsi...