Marco Grasso e Matteo per il Secolo XIX
La Procura di Genova ha aperto un’inchiesta per riciclaggio sulla Lega Nord. Gli accertamenti riguardano il possibile reimpiego occulto dei rimborsi-truffa ottenuti da Bossi e Belsito, secondo l’ipotesi accusatoria travasati attraverso conti e banche diverse, al fine di metterli al riparo da possibili sequestri. In altre parole, nell’opinione dei pm, quei fondi sono stati incamerati, riutilizzati e forse messi al sicuro dai sequestri consapevolmente dalla Lega durante le gestioni di Maroni in primis e poi di Salvini. Un arco temporale in cui il partito, che all’inizio si era costituito parte civile contro il suo fondatore, ha rinunciato a ogni pretesa.
L’indagine - al momento a carico d’ignoti e coordinata dai magistrati del pool reati economici Francesco Pinto e Paola Calleri - nasce da un esposto di Stefano Aldovisi, ex revisore dei conti condannato per il raggiro al Parlamento, assistito dall’avvocato Stefano Goldstein. Pur consce della provenienza indebita di quei fondi, insiste il commercialista, le gestioni successive a quella di Bossi-Belsito hanno dolosamente utilizzato e in parte occultato alcuni milioni per dribblare la giustizia.
Risale al luglio scorso la sentenza che dà il via ai sequestri: per i giudici la Lega di Umberto Bossi con tesoriere Francesco Belsito incassò una valanga di soldi pubblici senza averne diritto, grazie a certificazioni false. Per questo vengono condannati Bossi (2 anni e mezzo), Belsito (4 anni e 10 mesi) e i revisori contabili: Diego Sanavio (2 anni e 8 mesi), Antonio Turci (2 anni e 4) e appunto Aldovisi (1 anno e 9 mesi).
A quel punto il tribunale dispone il sequestro “conservativo” da 49 milioni di euro, stima del danno alle casse pubbliche, per evitare che il denaro evapori prima della Cassazione. Sui conti del Carroccio, e delle sue propaggini locali, la Guardia di Finanza blocca circa 2 milioni di euro. A quel punto, non essendocene altri, la ricerca del tesoro leghista prosegue sui depositi dei singoli imputati, ai quali vengono congelati beni per altri 2 milioni di euro.
maroni al congresso della lega
Aldovisi però non ci sta a pagare quasi per tutti. Durante il processo ammette che i controlli di fatto erano inesistenti, ma sostiene di non aver mai saputo che l’obiettivo dei vertici politici fosse una truffa. Mentre a lui pignorano tutto, il Senatùr continua infatti a beneficiare di buona parte del vitalizio da parlamentare (inattaccabile da pignoramenti). E la Lega, rimarca, avrebbe messo al sicuro il tesoro.
Le indagini si muovono su due elementi clou. Il primo attraversa il periodo in cui il ruolo di segretario passa a Roberto Maroni. «Secondo il settimanale L’Espresso - si legge nell’esposto - all’inizio del 2013 19,8milioni di euro in liquidità e titoli (in quella nella disponibilità del partito, ndr) sono stati trasferiti dalla filiale Unicredit di Venezia alla sede di Banca Aletti a Milano, per essere messi in sicurezza» dai creditori. Come mai, allora, «in fase di esecuzione del sequestro» vengono trovati un paio di milioni, a fronte di «un bilancio che al 31 dicembre del 2012 era in attivo di 47 milioni di euro»?
Il secondo passaggio cruciale avviene durante il mandato di Matteo Salvini e riguarda un presunto travaso di liquidità (2 milioni) fra i conti della vecchia Lega e il movimento “Noi con Salvini”.
Il legale di Aldovisi, Stefano Goldstein, si limita a confermare l’esistenza e i contenuti dell’esposto, presentato il 28 dicembre. L’attuale tesoriere del Carroccio Giulio Centemero replica: «Siamo pronti a dimostrare che non ci sono stati movimenti finanziari sospetti». Lo staff di Maroni al momento preferisce non commentare.