Giacomo Amadori per “la Verità”
L' inchiesta perugina sul presunto mercato delle nomine al Csm ci regala un nuovo colpo di scena. L' uomo le cui dichiarazioni sono la principale fonte d' accusa dei magistrati umbri è finito sotto indagine per calunnia presso la Procura di Messina. Direte: magari si tratta di storie completamente diverse. Sbagliato. Il grande accusatore, l' ex pm Giancarlo Longo, che, nel dicembre 2018, dopo aver lasciato magistratura, ha patteggiato una pena di cinque anni per corruzione e altri reati, è stato iscritto per alcune delle cose che ha riferito anche a Perugia.
PERQUISIZIONI
Da una parte le sue dichiarazioni hanno giustificato perquisizioni e atti d' indagine, dall' altra sono state prese come un tentativo di infangare il buon nome dell' ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale di prima istanza del Vaticano. Ma procediamo con ordine.
A fine maggio la Procura perugina ha spedito i finanzieri a casa e nell' ufficio del pm romano Luca Palamara, ex consigliere del Csm. Nel decreto di perquisizione e nell' avviso di garanzia il primo capo d' accusa per corruzione era così formulato: «Perché quale componente del Csm, riceveva da Calafiore Giuseppe e Amara Piero - in concorso tra loro e con Longo Giancarlo - la somma pari ad euro 40.000 per compiere un atto contrario ai doveri d' ufficio, ovvero agevolare e favorire il medesimo Longo nell' ambito della procedura di nomina del procuratore di Gela alla quale aveva preso parte Longo». Un reato che sarebbe stato commesso intorno all' aprile del 2016, quando Palamara era membro del Csm.
Amara e Calafiore, lo ricordiamo, sono due avvocati accusati da diverse Procure di aver aggiustato processi, corrompendo giudici (a Roma hanno già patteggiato rispettivamente 36 e 33 mesi di reclusione; Amara ha chiuso la pratica anche a Messina incassando altri 14 mesi).
La succitata accusa contro Palamara nasce dalle dichiarazioni rese da Longo a Perugia il 26 aprile 2019: «È stato Calafiore a dirmi che la candidatura a Gela, in particolare non era andata a buon fine, nonostante lui fosse intervenuto su Palamara con una dazione di 40.000 euro». Ma il 26 aprile Longo fa anche sapere ai pm di non essere così certo di quanto gli riferisse Calafiore: «Raccontava molte circostanze similari e non so dire se millantasse o altro».
Per i magistrati probabilmente, almeno su questo punto, no. Ma nella stessa giornata, l' avvocato di Longo, Bonaventura Candido, fa presente che nel luglio 2018 il suo assistito aveva riferito a Messina di una circostanza «presumibilmente di vostra competenza relativa a un altro magistrato». Nel verbale sintetico si legge quanto Longo dichiarò subito dopo: «Ho riferito che attraverso un telefono cellulare poi non rinvenuto ero stato avvisato da Calafiore che Amara era stato informato di una mail che De Lucia (procuratore di Messina, ndr) aveva inviato a Pignatone (che stava indagando su Amara e Calafiore a braccetto con i colleghi messinesi, ndr), contenente in allegato la bozza della richiesta di misura cautelare nei nostri confronti (di Longo, Amara e Calafiore, ndr)».
Arresto poi in effetti avvenuto nel febbraio 2018. Di quella bozza, secondo il grande accusatore, Amara «era venuto a conoscenza attraverso il fratello del dottor Pignatone», Roberto, il quale in passato era stato un consulente dello stesso Amara. La notizia gli sarebbe stata confermata dall' avvocato su una chat riservata (Wickr, dove i messaggi si autodistruggono) inviata su un telefonino che gli era stato fornito dai due coimputati per interloquire con loro e che «al momento dell' arresto è stato gettato nella spazzatura». Tutto ciò sarebbe avvenuto «nel settembre/ottobre 2017».
A Messina Longo aveva riferito all' incirca le stesse cose, aggiungendo: «Sia Amara che Calafiore avevano un rapporto diretto col fratello di Pignatone a loro dire, a quello che so è un professore che si occupa di economia». Non è finita: «Calafiore mi disse che mi stavano arrestando. Mi consigliò di trovarmi un avvocato bravo e di fare una memoria difensiva. Ho poi visto due cnr (comunicazioni notizie di reato, annotazioni degli investigatori ndr) delle quali intendo riferire».
Calafiore nell' incidente probatorio del 3 luglio 2018 prima avverte i giudici che «Longo è uno dei miei più cari amici», ma poi smentisce il compare sia a proposito delle dichiarazioni su Palamara sia di quelle sui fratelli Pignatone. «Io non ho riferito a Longo di nessuna mail [] Non ho rapporti diretti con il fratello del dottor Pignatone, non so nemmeno se l' ho mai incontrato. Io non ero a conoscenza della misura di custodia cautelare».
Calafiore ammette solo di aver mostrato le cnr a Longo, carte riservate che Amara avrebbe ricevuto da sue fonti («Mi ha detto: "Guardia di finanza, persone mie"»).
Sulla base di quei documenti, ma, a suo avviso, anche della notizia dell' imminente arresto, l' ex magistrato, a tambur battente, nell' ottobre del 2017 nominò un avvocato a Messina (Candido) e preparò una memoria e una consulenza tecnica sui suoi conti correnti.
Il legale depositò anche una comunicazione in cui faceva presente agli inquirenti che il suo assistito non era più magistrato di Siracusa (dove era ipotizzata la commissione di condotte illecite), ma aveva «assunto le nuove funzioni di giudice istruttore della quinta sezione civile del Tribunale di Napoli». Una mossa dall' obiettivo chiaro anche per uno studente del primo anno di giurisprudenza: il suo cliente non poteva reiterare il reato e quindi non doveva essere arrestato.
Nel 2018 a Messina hanno iscritto Longo sul registro degli indagati per la presunta calunnia ai danni di Pignatone e di suo fratello Roberto, per averli incolpati di rivelazione di segreto, «pur sapendoli innocenti, poiché attribuiva a Calafiore Giuseppe delle propalazioni rivelatesi non vere».
A REBIBBIA
In pratica Longo oltre che corrotto sarebbe una specie di kamikaze: mentre ammetteva i reati a lui contestati alla ricerca del patteggiamento, avrebbe deciso di infangare il nome del più potente procuratore d' Italia, non si sa bene con quale fine. Fatto sta che il 10 ottobre scorso Longo ha ricevuto in carcere l' avviso di chiusura indagini e il 31 ottobre, su sua richiesta, è stato sentito a Rebibbia (dove è rinchiuso da agosto) da due pm messinesi, volati a Roma per interrogarlo sulla presunta calunnia ai danni dei fratelli Pignatone. L' indagato, nell' occasione assistito anche dall' avvocato Itana Crialesi, ha consegnato ai magistrati alcune pagine di spontanee dichiarazioni, con cui, a quanto ci risulta, avrebbe confermato le precedenti versioni.
Resta inspiegabile l' atteggiamento suicida di Longo, a meno che non si voglia prendere in considerazione l' ipotesi che stia ripetendo in buona fede quanto gli è stato realmente riferito. Quel che è certo è che di fronte a valutazioni apparentemente così difformi da parte di due diversi uffici giudiziari sulle sue dichiarazioni qualcuno potrebbe trarre l' errata conclusione che Longo è un testimone credibile quando parla di Palamara, mentre è un calunniatore quando coinvolge Pignatone e famiglia.
pm Giancarlo Longo GIANCARLO LONGO