Paolo Dimalio per il “Fatto quotidiano”
CAROLA RACKETE NELLA COPERTINA DELLO SPIEGEL
Salvini e mezza Italia la volevano in galera. Ma ora è Carola Rackete a meditare se spedire in tribunale gli italiani. La querela per il Capitano leghista è pronta. Il reato?
Diffamazione e istigazione a delinquere, ha annunciato Carola. Salvini è spavaldo: "Non mi fanno paura i mafiosi, figurarsi una ricca e viziata comunista tedesca!". Come per il caso della nave Diciotti: poi il vicepremier ha scansato il processo grazie al voto dei Senatori.
Tutti contro Carola. Dopo l' attracco "spericolato" al porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo, urtando la motovedetta della Guardia di Finanza, sulla comandante tedesca si è abbattuta una tempesta d' insulti social. Salvini ha aggiunto il carico da 90, su Facebook: "fuorilegge", "delinquente", "criminale; gli epiteti ricorrenti per qualificare Carola. Lei però è solo indagata. I suoi avvocati consigliano le vie legali anche per i leoni da tastiera. Carola non ha ancora deciso, ma al momento giusto dovrà scegliere: dimenticare le offese o querelare tutti? Sui social, un fotomontaggio recita: "Dopo 14 giorni che ti prendi pisellate da 43 Mao Mao, decidi di sbarcare a Lampedusa .". Il resto, lo lasciamo alla fantasia.
CAROLA RACKETE - FOTO REPUBBLICA
Selvaggia Lucarelli, su Twitter, ha stigmatizzato il delirio: "Donne che se la ridono condividendo 'sta roba. Ho esaurito le parole". Il meme era apparso sulla bacheca Facebook di una giovane madre, cui la gogna è tornata indietro, come un boomerang, e con gli interessi: "Ti sarebbe piaciuto essere al posto di Carola, tranquilla cessa immonda che pur di non scoparti si sarebbero fatti tutti rimpatriare", si legge sul suo profilo. Oppure: "Magari ti querelino così ti passa la voglia". È lo stesso auspicio di Alessandro Milan, giornalista di Radio 24, che cinguetta su Twitter: "Spero che Carola quereli e si goda lauti guadagni".
FERRARA - AUTO DI UN TURISTA TEDESCO VANDALIZZATA DI OFFESE CONTRO CAROLA RACKETE
Diffamazione online. Internet non è una galassia senza regole. L' articolo 595 del codice penale (3 commi) vale anche sul web: "Chiunque, comunicando con più persone offende l' altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro". La pena aumenta, se chi diffama descrive un fatto preciso. Un conto è l' insulto, ma la bufala è peggio. Ad esempio, sul web circola un meme su Carola: "È già stata in galera per possesso di cocaina e carte di credito rubate". Tutto falso, perciò raddoppiano galera e sanzione economica.
Vale il comma 2 dell' articolo 595: "Se l' offesa consiste nell' attribuzione di un fatto determinato, la reclusione è fino a 2 anni, la multa fino a 2.065 euro". La l' offesa digitale dura più della pietra.
MEME - CAROLA RACKETE COME LA ISOARDI IN BRACCIO A SALVINI
Quindi scatta l' altra aggravante, il comma 3: "Se l' offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore a 516 euro". Rischia grosso, chi scambia Facebook o Twitter per il far west. La Cassazione lo ha ribadito con la sentenza n. 24431 del 2015: diffamare via social è ancora più grave, perché gli insulti si diffondono rapidamente, senza scampo, ad una platea senza confini.
Nessuna paura. Gli internauti però non temono sanzioni. "Non se si condivide su Facebook un post di una testata giornalistica", dice Marica (nome di fantasia). Sulla sua bacheca campeggia il meme di Carola condannata per cocaina: "L' ho letto su mag24.es". Come la falsa notizia sulla patente nautica, di cui la Capitana sarebbe sprovvista. Peccato che la fonte non sia una testata giornalistica, ma un blog anonimo. Marica non crede alla storia dei profughi che rischiano la vita: "I clandestini palestrati, grassi e con cellulare e occhiali da sole fuggivano da un villaggio vacanze?". Sul suo profilo, Marica si scaglia contro il giudice Alessandra Vella, colpevole di aver scarcerato Rackete, la sera del 2 luglio.
Per evitare la gogna, la toga ha subito cancellato il profilo Facebook. Ma il linciaggio è scattato, implacabile. Matteo Salvini, del resto, era stato lapidario, all' indomani della liberazione di Carola: "Mi vergogno per i magistrati. La ricca fuorilegge, la comandante criminale, la rispediamo in Germania". Gli insulti hanno travolto anche il Pd. Nicola Zingaretti, su Facebook, annuncia querele: "Ora basta.
Gli attacchi sul web stanno diventando DIFFAMAZIONE ". Celebre il fotomontaggio sull' abbuffata a bordo della Sea Watch, con Graziano Delrio, Nicola Fratoianni, Matteo Orfini e Riccardo Magi a banchettare con ogni ben di Dio. Opera di un deputato leghista. "Solo uno scherzo", si è difeso su Facebook Alex Bazzaro: "Lo scopo umoristico era chiaro". Sicuro: chi non ha riso alla battuta? Prova a prendermi. L' ironia è una giustificazione in voga, perché allontana la condanna.
"Vero, la satira è sacrosanta - dice l' avvocato Caterina Malavenda - ma deve essere desumibile dal messaggio e dal contesto". A volte, i diffamatori social si nascondono dietro nomi di fantasia: "Sì, ma basta risalire all' indirizzo ip e al suo titolare, per identificare l' autore: poi si può querelare". C' è sempre l' alibi dell' hacker: "Ma va dimostrato con una perizia in tribunale".
Carola, il Pd e il giudice Vella possono adire le vie legali. Ma anche alcuni diffamatori sono stati bersagliati d' insulti. E se querelassero pure loro? I tribunali chiuderebbero bottega, visto l' andazzo da trivio. Molte offese, tuttavia, sono comuni: "La Cassazione ha già stabilito che 'cretino' non è un insulto e qualche giudice ha sdoganato il termine 'coglione", dice l' avvocato Malavenda. Giù con le offese allora: più si usano, meno si rischia.