1. C'È L'ACCORDO PD-M5S SULLA LEGGE ELETTORALE NEI DEM SCOPPIA LA LITE
Carlo Bertini per ''la Stampa''
Non sarà facile per Nicola Zingaretti strappare un sorriso ai big del suo partito lunedì prossimo, perché sono in molti dietro le quinte a lamentare che il Pd abbia ottenuto poco o nulla in cambio del Sì al taglio degli eletti voluto dai grillini. «Si vota il testo base della legge elettorale in Commissione, ma Conte non ha fatto nessun pressing per andare in aula prima del 20, data del referendum», scrolla il capo un dirigente dem. Dando voce ai tanti scontenti col premier, che dovranno ingoiare in Direzione la richiesta del segretario di votare Sì al referendum. Richiesta accompagnata da una salominica libertà di voto, perché troppi sono i malumori e tanti i no, da Matteo Orfini a Luigi Zanda, da Giorgio Gori al padre fondatore Romano Prodi, fino a migliaia di militanti vogliosi di assestare un calcio politico ai 5 stelle.
NICOLA ZINGARETTI LUIGI DI MAIO
L' ira dei dem su Conte
L' irritazione dei Dem e del loro segretario si concentra sul premier, reo di non aver fatto nulla per accontentare le richieste di un partito con la base in rivolta contro un taglio dei parlamentari mal digerito. Per questo il leader Pd ha spinto su Di Maio e su Renzi per un accordo che dia il senso di un rispetto dei patti prima del referendum. E in zona Cesarini i partiti di maggioranza siglano infatti un' intesa sui tempi di approvazione delle riforme correttive del taglio lineare dei parlamentari.
Un pacchetto che poggia su tre gambe: il 3 o 4 settembre un primo voto sul testo base della legge elettorale in commissione Affari Costituzionali, che forse andrà in aula entro fine mese; a Palazzo Madama la settimana prossima la legge sul voto ai diciottenni al Senato (e sui senatori eleggibili dai 25 anni).
E ultimo, la riforma più importante: la legge Fornaro (capogruppo di Leu) che dovrebbe essere votata alla Camera la settimana prossima. Una riforma che consente di eliminare nella stesura della prossima legge elettorale la base regionale per l' elezione dei senatori: in modo da correggere la compressione della rappresentanza nelle regioni. In virtù di ciò, Friuli, Liguria, Umbria e Basilicata potrebbero essere accorpate ad altre circoscrizioni. Come effetto collaterale questa riforma «avrebbe la fine delle doppie maggioranze tra le due Camere, con una garanzia di maggiore stabilità per i governi», spiega Fornaro.
Renzi stoppa il voto in aula
«Il M5S rispetta sempre i patti e siamo pronti a votare la legge elettorale domani», chiarisce Luigi Di Maio a scanso di equivoci. Ma l' ok più atteso da Nicola Zingaretti, che condiziona il sì al referendum sul taglio dei parlamentari al rispetto degli accordi di maggioranza è quello di Matteo Renzi. Il quale tramite Maria Elena Boschi ha fatto sapere a Graziano Delrio di essere disposto a dare il placet perché si voti entro venerdì in commissione il testo base della legge proporzionale con sbarramento al 5%. Ma nulla più. Niente voto in aula alla Camera prima del 20 dicembre.
maria elena boschi matteo renzi
Renzi vuole attendere l' esito delle regionali. Quindi Zingaretti strappa poco, anche se i suoi sostengono che «l' accordo è stato rispettato». Lunedì 7 il leader Pd potrà andare in Direzione a sostenere le ragioni del Sì, fatta salva la libertà di coscienza come valvola di sfogo dei tanti contrari. Ma Conte non gli ha offerto sponda alcuna: non intende interferire sull' iter di una legge elettorale pertinenza del Parlamento.
E così come non si è esposto sul sistema di voto, non farà campagna sul referendum per il taglio dei parlamentari, in segno di par condicio tra Pd e 5Stelle. Il 9 agosto a domanda precisa, a Bari, Conte aveva però risposto che voterà Sì. «E' una domanda un po' privata, non vorrei influenzare nessuno». Con una chiosa sulla legge elettorale: «Sarebbe eccentrico se il premier non sostenesse la riforma proporzionale concordata tra le forze di maggioranza. Mi auguro che continui il dialogo».
Da quella data stop alle esternazioni.
2. DIETRO L'INTESA GIALLOROSSA UN PATTO SUL QUIRINALE
Marcello Sorgi per ''la Stampa''
L' accordo Pd-5stelle che porterà quasi certamente martedì al voto sulla legge elettorale proporzionale che dovrebbe sostituire presto il Rosatellum segna un nuovo avvicinamento tra Zingaretti e Di Maio, fino a poco tempo fa il più freddo del Movimento sull' alleanza a sinistra, e consente un' altra boccata di fiato al governo, che affronta una ripresa autunnale complicata e una vigilia del voto regionale del 20 settembre almeno complessa. Quanto possano valere le rassicurazioni dell' ex-capo politico, si sa, specie dopo l' ultima votazione della Fondazione Rousseau, favorevole al trasferimento della formula di governo anche in periferia, smentita pochi giorni dopo dai vertici grillini locali in Puglia e nelle Marche, contrari.
Ma qui a votare saranno nuovamente i parlamentari, per definizione governisti e storicamente favorevoli al proporzionale, il sistema che consente a M5S di raccogliere il massimo dei voti e di tenersi le mani libere. Le incognite dovrebbero essere minori.
Il voto in commissione segnerà del resto al più un passaggio intermedio del percorso parlamentare della nuova legge elettorale, abitualmente lento e complicato: d' altra parte, quando quel tipo di legge è fatto, di solito si vota. E in questo caso, ci sono tutte le ragioni per aspettare, dato che se passa il referendum costituzionale abbinato alle votazioni regionali, cosa molto probabile, la prossima volta ci sarà un terzo di parlamentari in meno, e la maggioranza è comunque decisa ad arrivare alle elezioni presidenziali, in calendario per il febbraio 2022.
Al fondo, questo è il vero motivo che spinge Zingaretti a rinsaldare l' alleanza con Di Maio, nella speranza di estenderla alla maggior parte del Movimento: puntare a un accordo blindato sul Quirinale, che preveda che a Mattarella possa succedere un Pd o comunque un candidato scelto dal Pd, in cambio della possibilità per i pentastellati di tenersi la guida del governo.
sergio mattarella parla con dario franceschini e nicola zingaretti
Tutto ciò avviene o comincia ad avvenire sullo sfondo di un insolito silenzio di Conte: un silenzio preoccupato per i molti problemi che la ripresa allinea sul suo tavolo (scuola, Covid, riforme per i fondi europei, Mes). Oppure obbligato, dal momento che quando i partiti si parlano, il ruolo di mediazione di Palazzo Chigi viene meno.