Ferruccio De Bortoli per “l’Economia - Corriere della Sera”
L' accrocchio incolore che si appresta (forse) a governare il Paese una patrimoniale non la farà. Silvio Berlusconi la teme. Luigi Di Maio la esclude. Tassare i grandi patrimoni, in un' ottica redistributiva, sarebbe obiettivo implicito di una coalizione sbilanciata a sinistra.
E anche nel mondo grillino non sono assenti suggestioni di questo tipo. Ma crediamo che prevarrà un sano realismo, anche perché ci auguriamo che i ministri siano non solo preparati ma anche di buon senso. E poi per introdurre un' altra patrimoniale (sì perché ne abbiamo già un discreto numero) occorrono capacità tecnica e solida nonché coerente volontà politica. Qualità rare da tempo, specie la coerenza.
Che cosa è lecito attendersi allora sul piano fiscale dal governo Conte 2? Ovviamente il disinnesco delle clausole Iva. Certo, ma qualcuno dica - magari prima della fiducia alle Camere - dove si trovano i soldi. Farlo ancora in deficit vorrebbe dire che gli esecutivi cambiano colore ma la musica è la stessa. Più deficit, più debito. In secondo luogo sarà certamente un caposaldo del programma la riduzione del cuneo fiscale e contributivo.
Operazione che passa da una rimodulazione delle aliquote Irpef che consentirebbe di alleggerire il peso dell' imposta sui redditi medio-bassi. Ma, ancora: con quali risorse? Sciolta questa premessa, va detto che se ci fosse un' enfasi diversa nella lotta all' evasione fiscale, un impegno concreto e costante, allora ci troveremmo di fronte a una piccola rivoluzione. Salutare. Sarebbe una svolta autentica dopo tanti anni di sconti agli evasori.
E non tutti per venire incontro alle necessità di contribuenti e aziende in seria difficoltà che ovviamente non vanno mai sottovalutati. Una lunga e storica sequenza di «perdonanze». I dieci condoni dell' ultima legge di Bilancio (votata dai Cinque Stelle) o per esempio le voluntary disclosure (votate dal Pd) sui capitali all' estero.
Di patrimoniali in Italia ce ne sono già diverse, come scrive in queste pagine Giuditta Marvelli (L' Economia, 4 marzo 2019): dall' Imu sugli immobili all' imposta di bollo sulle attività finanziarie. Valgono nell' insieme 46 miliardi. E ce ne sono state tante in passato. Cominciò nel 1919 il governo Nitti, all' indomani della Grande Guerra, spinto dalla necessità di sostenere i debiti contratti e colpire gli extraprofitti industriali del periodo bellico.
Tra proteste, rimaneggiamenti e condoni, la «leva sul capitale» produsse gettiti inferiori alle previsioni. Nel 1936 per far fronte ai costi della guerra in Etiopia venne adottato un provvedimento analogo. Nel 1940 la prima imposta patrimoniale ordinaria si ispirò, negli aspetti tecnici, alla proposta Meda del periodo Nitti. L' imposta straordinaria del 1947 esaurì i suoi effetti agli inizi degli anni Sessanta trasformandosi poi nella tassazione dell' incremento di valore degli immobili (Invim). Nel 1992, nel corso della crisi valutaria che portò all' uscita della lira dal Sistema monetario europeo (Sme), il governo Amato introdusse un prelievo straordinario del 6 per mille sui conti correnti. Una patrimoniale efficace perché improvvisa. Immediata. Nottetempo. Oltre all' Ici sugli immobili.
Nel 2011 il governo Monti varò tra l' altro l' imposta di bollo sulle attività finanziarie, oltre all' estensione dell' Ici-Imu all' abitazione principale e un significativo aumento delle altre case possedute. La storia di tutte le altre patrimoniali, grandi o piccole, ha una costante.
Sono state decise in periodi eccezionali, drammatici: conflitti bellici o economici. Già questo dovrebbe far riflettere sui rischi che corre il nostro Paese. Inoltre, i gettiti sono sempre stati - con l' esclusione dell' incursione notturna nei depositi bancari - inferiori alle previsioni. Oggi sarebbe molto diverso. Con lo scambio di informazioni tra i principali Paesi, la fine del segreto bancario per esempio in Svizzera, l' incrocio delle banche dati, ci si può difendere dal rischio di ridenominazione (leggi uscita dall' euro) ma non da una patrimoniale.
giuseppe conte nicola zingaretti 1
Anche per chi ha i soldi all' estero restando residente in Italia. E poi dopo aver steso - anche giustamente - un tappeto di agevolazioni fiscali, con un' imposta forfettaria, ai Paperoni stranieri affinché decidano di risiedere in Italia (misure del centrosinistra) sarebbe contraddittorio fare la faccia feroce con quelli nostrani. Si colpirebbe, tra l' altro, coloro che hanno deciso di restare fiscalmente residenti nel proprio Paese. E non quelli già espatriati in Svizzera o a Montecarlo. Il Paese ha bisogno di attrarli i capitali, non di indurli alla fuga.
Certo, esistono problemi di equità, da non sottovalutare. Le tasse in questo Paese le pagano soprattutto dipendenti e pensionati. Per quelle di successione, addirittura, siamo una sorta di paradiso fiscale. Ma la demagogia non aiuta.
Ricorderete la sciagurata tassa di stazionamento sulle barche di lusso decisa dal governo Monti con il Salva Italia a fine 2011, poi trasformata in tassa di possesso e abolita nel 2017. Anche i ricchi piangono c' era scritto su un manifesto di Rifondazione comunista del 2006 con sullo sfondo la fotografia di un maxi-yacht. I ricchi non piansero, cambiarono solo porto. Piansero invece l' industria nautica italiana e il sistema portuale. Ovvero i loro addetti.
il senatore mario monti foto di bacco
Il dibattito sull' opportunità di introdurre un' imposta patrimoniale riemerge ogni tanto come fosse un fiume carsico. È serrato soprattutto nei momenti di crisi finanziaria, come nel 2011-12, con tanti proponenti tra gli stessi industriali o banchieri (come Carlo De Benedetti, Alessandro Profumo, Pellegrino Capaldo, Pietro Modiano tra gli altri). Ne parlarono favorevolmente anche Walter Veltroni e Matteo Renzi. Con le migliori intenzioni: abbassare il peso del debito, liberare risorse per gli investimenti.
Se la classe dirigente italiana decidesse di autotassarsi con una piccola imposta sul patrimonio per finanziare, per esempio, un grande progetto per aiutare gli oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, scriverebbe una bella pagina della sua spesso ingloriosa storia. Ma inutile farsi illusioni. Una seria lotta all' evasione darebbe invece un gettito maggiore. Se solo si recuperasse il venti per cento di quanto si evade ogni anno, salterebbero fuori d' incanto venti miliardi. Grosso modo la cifra che serve per non far aumentar l' Iva, tassa che in Italia, patria del «nero», si evade più che altrove. Certo, in questo modo, si perdono voti. Il problema è tutto lì.