MARCO GALLUZZO,VIVIANA MAZZA per il Corriere della Sera
Il G7 di domani, sotto la guida britannica, sarà anche una scommessa. Potrà produrre una dichiarazione di meri intenti, concentrata sull'imperativo di un passaggio sicuro per coloro che vogliono lasciare l'Afghanistan e la necessità di una soluzione politica inclusiva che protegga i diritti fondamentali di tutti gli afghani, due temi principali che il summit dovrà affrontare.
Ma potrà essere anche un vertice in qualche modo zoppo, per il formato, per le grandi incertezze americane, per l'assenza al momento di una strategia di largo respiro, che coinvolga anche Cina e Russia. «I leader sono d'accordo che i rapporti della comunità internazionale con i talebani dipenderanno dalle loro azioni, non dalle loro parole», precisa il comunicato del dipartimento di Stato americano. Gli altri temi sul tavolo sono «la lotta al terrorismo, gli sforzi umanitari, la migrazione dei rifugiati». Con il G7 in programma si incastrano questioni cruciali, ma di mera natura logistica, non di lungo periodo.
Il possibile prolungamento della data del 31 agosto per la presenza di 7.000 soldati americani all'aeroporto di Kabul (che il presidente Biden non ha escluso nel caso ci siano ancora cittadini statunitensi da evacuare) è stato auspicato da diversi alleati della Nato e dell'Ue, tra questi la Gran Bretagna. Intanto, il G7 dovrà guardare al futuro per «prevenire una crisi umanitaria e aiutare la popolazione afghana a difendere le conquiste degli ultimi vent' anni», nelle parole del premier britannico Boris Johnson che proporrà «sanzioni contro i talebani». E proprio Johnson ha discusso della crisi anche con il premier turco Erdogan: i due leader ritengono che «il nuovo governo afghano debba essere rappresentativo della diversità della popolazione afghana e proteggere i diritti delle donne e delle minoranze», secondo un portavoce, e hanno toccato anche la questione dei corridoi umanitari che sta dividendo l'Europa convenendo che «i Paesi devono impegnarsi per una condivisione dell'onere sugli aiuti e i rifugiati e in questo sforzo sarà centrale l'Onu».
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Sul fronte italiano, dato per scontato il via libera all'uso delle basi americane su suolo italiano, come Sigonella, per la complessa operazione di evacuazione che Washington sta gestendo, il contributo che Mario Draghi porterà al tavolo del G7 di domani sarà almeno di duplice natura: da un lato la forte preoccupazione per tutti i civili afghani che resteranno nel Paese, passibili di ritorsioni e violenze anche per le ragioni più futili, compresa quella di essersi abituati ad uno stile di vita occidentale; dall'altro la consapevolezza e la sincerità nel ritenere un consesso come quello del G7 insufficiente per giocare un ruolo efficace nel condizionare il futuro del Paese sotto la guida dei talebani. In stretto coordinamento con la Farnesina, infatti, stanno emergendo almeno questi due punti di riflessione che verranno portati dal capo del governo al G7.
Primo: cosa fare per trovare dei deterrenti alle ritorsioni e alle violenze dei talebani contro i cittadini afghani che hanno lavorato con il precedente governo e che non saranno evacuati. Secondo: come delineare una strategia complessiva che obblighi i talebani ad accettare standard minimi di rispetto dei diritti umani e di condanna del terrorismo.
Su questo secondo punto Draghi sarà chiaro nel dire agli alleati, in primo luogo alla Casa Bianca, che non esiste nemmeno lontanamente la possibilità di condizionare la vita di un Paese che è anche sull'orlo di una guerra civile senza il coinvolgimento attivo di potenze come Cina, India e Russia, cosa possibile solo nella sede istituzionale del G20 straordinario al quale Roma sta lavorando e che dovrebbe tenersi a metà settembre.
Un obiettivo complesso, sul quale l'amministrazione americana non appare pienamente consapevole, ma che per Draghi è l'unico minimo comun denominatore. Il G7 può dunque solo porre le basi, visto da Palazzo Chigi, per formare un primo nucleo di consenso che però dovrà allargarsi ad altri contesti geopolitici, da Mosca a Pechino, e che prevede in primo luogo il mancato riconoscimento del regime talebano come entità statale e in secondo luogo il congelamento di tutti i fondi di aiuto se non verranno riconosciute alcune condizioni basilari sui diritti umani. Ma senza una dichiarazione congiunta e sottoscritta anche da Putin e Xi Jinping per Draghi l'Occidente resterà con le mani legate.
G7
Roberto Fabbri per ilgiornale.it
Mentre Mario Draghi tesse la sua tela in vista di un corposo capitolo afghano del prossimo G20 presieduto dall'Italia, Boris Johnson convoca per domani un G7 straordinario dedicato inevitabilmente - allo stesso tema. Inevitabilmente perché sull'Afghanistan caduto nelle grinfie dei talebani incombe una catastrofe umanitaria di dimensioni tali da richiedere interventi tempestivi e ben coordinati.
I leader dei sette Paesi più importanti dell'Occidente (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Giappone e Canada) si riuniranno virtualmente Covid oblige sotto la presidenza britannica non solo per meglio coordinare gli sforzi dedicati a salvare il salvabile di vent'anni di presenza e a un'evacuazione ordinata e sicura di decine di migliaia di persone dall'aeroporto di Kabul, ma anche per rispondere concretamente all'allarme lanciato dal Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite, secondo cui «una catastrofe assoluta è imminente in Afghanistan» e non sono ammissibili ritardi né sottovalutazioni della situazione.
mario draghi e boris johnson con la moglie
«Dobbiamo portare rifornimenti in quel Paese ha avvertito la direttrice del Pam per l'Afghanistan Mary Ellen McGroarty non solo in termini di cibo, ma anche di forniture mediche, di rifugi. Servono soldi, e servono subito».
Il quadro dipinto da McGroarty è effettivamente drammatico. «Se non agiremo entro le prossime sei-sette settimane, poi sarà troppo tardi. La gente è priva di tutto, e soprattutto nelle province più lontane, zone di montagna, l'arrivo dell'autunno significa strade bloccate dalla neve e fame certa per chi ci vive». Abituati come siamo in questi giorni a focalizzarci sul disastro politico seguito al ritiro affrettato e mal gestito degli americani, ci dimentichiamo che la situazione sociale e alimentare dell'Afghanistan era già disastrosa prima di quel disastro.
Un terzo degli afgani erano già sottonutriti, e tra questi si contavano due milioni di bambini. La siccità (che ha abbattuto del 40 per cento la produzione di grano) e l'infierire del Covid hanno aggravato la situazione, e il dilagare del conflitto a partire dallo scorso giugno ha portato la mazzata finale, con almeno mezzo milione di sfollati. Da qui discende quello che McGroarty ha definito «l'imperativo umanitario».
Sotto il profilo politico, però, il G7 straordinario di domani si concentrerà sugli sforzi di coordinamento tra alleati. Perché, è inutile girarci attorno, le modalità con cui il presidente americano ha agito in Afghanistan «dimenticando» di consultarsi in anticipo con gli europei hanno lasciato non solo parecchi malumori, ma anche concrete preoccupazioni. Si teme fondatamente un'ondata incontrollata di profughi afghani, e il sostegno a questi rifugiati dovrà essere coordinato.
In un contesto politico europeo molto particolare con Londra ormai fuori dall'Ue, la Cancelliera tedesca Merkel a un passo dall'addio alla politica e il presidente francese Macron «distratto» dalle prossime presidenziali il premier italiano Mario Draghi, che gode della piena stima di Joe Biden, svolge un ruolo di primo piano nel rapporto diretto degli europei con la Casa Bianca.
Draghi ha sottolineato con Biden l'importanza di un approccio comune del G7 alla crisi afghana, e sta lavorando per persuadere il presidente americano della necessità di coinvolgere nella sua soluzione anche Paesi come Cina, Russia, Turchia e Arabia Saudita, tutti presenti nel format del G20 che potrebbe essere convocato già a metà settembre.
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