Carlo Pizzati per "la Repubblica"
Nel bel mezzo di una sontuosa cena presso il palazzo presidenziale pakistano, la notte dell'8 luglio 1971, il consigliere per la sicurezza nazionale americano Henry Kissinger accusò un malore, forse a causa del cibo esotico, del caldo soffocante o dei troppi viaggi.
Dopo Saigon, Bangkok e Delhi, Islamabad era infatti la quarta tappa di un tour asiatico così estenuante che al seguito era rimasto soltanto un reporter americano. Subito, il presidente Yahya Khan fece accompagnare l'ospite d'onore in una villa sulle fresche colline a 2400 metri d'altura.
Nell'auto però non c'era Kissinger, il quale invece, con il vice Watson Lord, due agenti segreti e un assistente, fu portato a un aeroporto militare dove lo attendevano quattro diplomatici cinesi. Alle 4 del mattino, Kissinger salì a bordo dell'aereo mascherato da un ampio cappello, un foulard sul viso e occhiali da sole scuri. A mezzogiorno, il diplomatico atterrò a Pechino e nelle successive 48 ore ebbe sei riunioni con il premier cinese Zhou Enlai.
Quest'incontro era l'obiettivo della segretissima "Missione Marco Polo" che avrebbe cambiato le sorti della Guerra fredda. Riapparso nella villa pakistana due giorni dopo, fingendo d'essere guarito dal colpo di caldo, Kissinger telegrafò subito al presidente Richard Nixon un'unica parola: «Eureka».
La disponibilità dei cinesi al dialogo aprì la strada a quella che Nixon chiamò «la settimana che cambiò il mondo», il suo viaggio a Pechino per riaprire i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cina dopo ventidue anni di silenzio tra due nazioni divise dalle ideologie, dalla guerra del Vietnam e dalle rivendicazioni della Repubblica cinese di Taiwan, nata dopo la conquista della Cina da parte delle forze comuniste.
glenn cowen e il pulmino cinese
È passato mezzo secolo da quel 1971 e i cambiamenti innescati dalla Missione Marco Polo hanno davvero trasformato il mondo. Quel viaggio rocambolesco fu ispirato anche da un incontro fortuito, pochi mesi prima, tra due concorrenti del 31esimo mondiale di ping-pong di Nagoya, in Giappone.
L'americano Glenn Cowan, avendo perso il pulmino della sua squadra, salì sul successivo, accorgendosi troppo tardi che era quello del team cinese. Difficile capire l'impermeabilità culturale e ideologica dell'epoca della Guerra fredda, se non la si è vissuta. Cowan fu infatti accolto dalla sdegnosa indifferenza dei giocatori cinesi, tranne Zhuang Zedong che gli strinse la mano e gli regalò la stampa di una foto delle sue montagne che teneva nella borsa sportiva.
Questa cordialità innescò, con il placet del presidente Mao Zedong, l'invito a Pechino, il 10 aprile 1971, dell'intera squadra americana, prima delegazione ufficiale in decenni a visitare la Repubblica Popolare cinese, se non si conta il viaggio di 11 militanti delle Pantere Nere. Fu anche quella "diplomazia del ping pong" ad avvicinare i due governi che non si parlavano, ma che da mesi cercavano un tramite segreto in Romania e in Pakistan.
la foto della diplomazia del ping pong
Nixon si era messo all'opera per stabilire un contatto con Mao fin dal suo primo giorno alla Casa Bianca. Alla rivista Time aveva rivelato un suo sogno: «Se c'è qualcosa che voglio fare prima di morire è andare in Cina». La dichiarazione aprì la "stagione della quadriglia" durante la quale le parti si studiavano a distanza, mettendosi alla prova. Bisogna ricordare che nell'era del maccartismo bastava esprimere il desiderio di visitare l'Unione Sovietica o la Cina per finire nelle purghe dell'anticomunismo americano.
Invece Nixon riuscì ad avverare il suo sogno. Sette mesi dopo la Missione Marco Polo, eccolo atterrare in Cina per la prima visita di un presidente americano nella Repubblica Popolare cinese. Sette giorni, dal 21 al 28 febbraio 1972, viaggiando in tre città: Pechino, Hangzhou e Shanghai, passando anche per la Grande Muraglia.
Mentre il presidente vedeva politici e diplomatici, la First Lady Pat Nixon visitava scuole, fabbriche e ospedali con un seguito di giornalisti. Nixon incontrò subito Mao Zedong, assieme a Kissinger e a Lord. Il dialogo durò un'ora. L'unico. Lord scrisse in seguito che Mao fu di poche parole: «Parlava con frasi secche e rapide. Pennellate veloci. Passava da un argomento all'altro in apparenza senza un filo. Soltanto dopo abbiamo capito che ci stava delineando la politica cinese del futuro».
il libro di kissinger sulla cina
Invece Nixon e il premier Zhou Enlai si riunirono più volte. Il loro dialogo culminò nel Comunicato di Shanghai, che è tuttora la pietra fondante dei rapporti tra Usa e Cina. La visita alterò gli equilibri mondiali. Nixon aveva pieno interesse di uscire dall'impasse in cui si trovava l'America nella Guerra fredda, impantanata in Vietnam, con pochi progressi nell'insediare Taiwan come la "Cina legittima" e con il cruccio di un'Unione Sovietica così intraprendente che nel 1968 aveva addirittura invaso la Cecoslovacchia con i carrarmati.
Fu proprio la primavera di Praga a esacerbare i rapporti tra Pechino e Mosca. Anche se il "blocco comunista" veniva visto dall'opinione pubblica occidentale come mono-litico, le spaccature c'erano eccome. Dopo le dozzine di soldati russi e cinesi morti in una disputa al confine sino-russo sul fiume Ussuri, Mao temeva l'entusiasmo espansionista sovietico. Il Grande Timoniere era pronto per la sterzata accogliendo la nemesi americana a casa sua.
henry kissinger con xi jinping
Difatti, non solo il viaggio di Nixon a Pechino ampliò la spaccatura strategica tra Cina e Unione Sovietica, costringendo i russi indeboliti sul fronte asiatico a una serie di concessioni a favore dell'America, ma diede inizio a un cambiamento epocale in Cina, che si aprì all'economia dei paesi capitalisti, trasformazione che maturò nelle famose riforme del "Socialismo con caratteristiche cinesi" coltivate negli anni Settanta da Deng Xiaoping.
Gli anni Ottanta videro la decollettivizzazione dell'agricoltura e l'apertura agli investimenti stranieri mentre negli anni Novanta Pechino spalancò le porte a privatizzazioni e appalti ai privati. Nonostante le frenate del presidente Hu Jintao negli anni Duemila, le corsa alle riforme portò, tra il 1978 e il 2013, a una crescita dell'economia cinese del 9,5 per cento annuo. Fino all'arrivo di Xi Jinping che smantellò, in parte, il lavoro di Deng.
La Missione Marco Polo che cinquant'anni fa rese possibile «la settimana che cambiò il mondo» fu la dimostrazione che, molto più del conflitto, l'abile arte di saper tendere la mano al momento giusto porta trasformazioni durevoli e profonde. Un'utile promemoria, in questo momento, per il presidente Joe Biden.
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