Carlo Bertini per la Stampa
Sospiro, sguardo che si piega sulle scarpe: Graziano Delrio in pieno Transatlantico fatica a nascondere imbarazzo e preoccupazione, «Prodi che fa una nota così... beh è pesante». Poco prima il Prof se ne era uscito con una frase tagliente, scritta nero su bianco. Non una battuta, ma un impegnativo «sposterò più lontano la tenda, intanto l' ho messa nello zaino». Non è un addio al Pd, ma ci assomiglia.
Per ora abbandona il ruolo di mediatore che si era dato per rimettere insieme due mondi, quello del Pd a traino Renzi e quello di Pisapia, due mondi distanti, da provare a unire facendo da «collante». Non ha mandato giù Prodi le frasi consegnate dal leader Pd a Qn, «i migliori amici del Berlusca sono i suoi nemici». O peggio, «quelli che invocano una coalizione di centrosinistra larga il più possibile fanno il gioco del centrodestra, e non del Pd».
Il prof incute timore Irritazione a parte, che dal Nazareno provano a far sbollire con frasi tipo «Prodi è un punto di riferimento», copyright Guerini; o «nessuno vuole Prodi lontano dal partito», parola di Richetti, l' analisi post-voto del leader Pd sconcerta non solo il Professore.
Il rifiuto di inseguire alleanze dopo quel che successo nelle urne, dove le coalizioni all' antica hanno perso, spiazza nemici e alleati interni. Come Dario Franceschini, che per la prima volta, lui solitamente così cauto, fa deflagrare su Twitter una bordata contro Renzi. «Bastano questi numeri per capire che qualcosa non ha funzionato?» chiede pubblicando grafici impietosi sui voti Pd nelle città più importanti, Genova, Parma, Verona e l' Aquila, con la curva dal 2012 a oggi. «Il PD è nato per unire il campo del centrosinistra, non per dividerlo», è la botta decisiva.
«Io non torno ai caminetti dei capicorrente, a riportare le lancette al passato io non ci sto», taglia corto il segretario. Alla Camera i renziani colpiscono duro, «Franceschini come sempre fiuta il vento, speriamo per lui che il suo naso sia quello di una volta» sibila Carbone. Se non è la rottura del sodalizio che lega da quattro anni Renzi e Franceschini, è la spia di un grande freddo calato sui destini di decine di dirigenti: gelo dovuto anche alle ultime scelte sulla segreteria da cui il leader ha tenuto fuori tutte le correnti. E le truppe si agitano come animali impazziti.
LEADERSHIP SOTTO ATTACCO
Ma l' assedio a Renzi è evidente, tutti i big e fondatori del partito lo strattonano, come per svegliarlo da un brutto sogno: da Veltroni che su Repubblica lancia un invito all' unità, allarmato dal vedere il «suo» Pd ristretto nelle sembianze della Margherita, il partito che fu di Rutelli. A Prodi che si vede rigettata la prospettiva di cercare di unire il centrosinistra. Fino a Zingaretti, sempre parco nelle dichiarazioni, che scende in campo nell' arena di Andrea Orlando, il convegno della corrente di minoranza del Guardasigilli, per dire a Renzi di aprire una pagina unitaria e «da solo perde».
Le parole di Prodi «evidenziano il disagio che c' è in tutto il Pd. Prodi non può essere annoverato tra i gufi e i rosiconi, perché il Pd lo ha pensato lui. Le sue parole devono farci riflettere», dice Orlando.
Ma nel partito, l' uscita che fa più rumore è quella di Franceschini: anche se i renziani dicono che conta sempre meno nei gruppi dirigenti «perché abbiamo la maggioranza senza di lui in direzione», le truppe in Parlamento sono cospicue e nel territorio la corrente è ancora strutturata.
«A Dario non va giù - spiegano gli amici del ministro - questo atteggiamento sprezzante e divisivo malgrado tutti gli appelli. Se continuiamo a pensare di essere autosufficienti, legati alla leadership di un uomo solo, allora bisogna fermarsi e discutere. Perché così non va». Appuntamento in Direzione il 10 luglio, per la nuova resa dei conti.