Francesco Semprini per la Stampa
«Vinceremo». È lapidario il presidente Donald Trump interpellato sul braccio di ferro giudiziario in merito al divieto di ingresso nei confronti dei cittadini di sette nazioni considerate fortemente esposte a infiltrazioni terroristiche. «Per la sicurezza del nostro Paese, vinceremo», chiosa Trump, giunto al gala annuale della Croce Rossa insieme alla first lady Melania. E con un tweet rilancia: «Non posso credere che un giudice possa mettere il nostro paese in pericolo. Se succede qualcosa prendetevela con lui e il sistema giudiziario».
Ostenta fiducia ma per adesso i fatti gli danno torto, specie dopo che una Corte d' appello ha respinto il ricorso urgente presentato sabato sera dal dipartimento di Giustizia in cui veniva chiesta la sospensione del blocco del divieto. Ovvero della decisione del giudice federale di Seattle, il quale aveva bloccato il bando di ingresso negli Stati Uniti per persone provenienti dai 7 Paesi della «black list»: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen.
In realtà non si tratta di una decisione definitiva perché la Corte federale di San Francisco in secondo grado ha chiesto oggi all' amministrazione Trump di presentare più argomentazioni a suffragio della richiesta. E di farlo entro domani pomeriggio.
La stessa richiesta è stata avanzata nei confronti dello Stato di Washington che assieme a quello del Minnesota aveva presentato la prima opposizione al decreto blocca-immigrati.
A sua volta azzerata dai giudici del dipartimento di Giustizia su indicazione del ministro Jeff Session appena insediato dopo la nomina di Trump. Quest' ultima richiesta però è stata respinta dal giudice di Seattle James Robart, provocando le ire di Trump che aveva definito la vicenda «ridicola». Al punto tale da far presentare ricorso nuovamente dai falchi togati del dicastero attraverso una procedura di emergenza presentata in serata.
La bocciatura da parte della Corte d' appello conduce ora a battaglie legali che andranno avanti a lungo, con un caso giuridico che comporta l' apertura e la chiusura delle frontiere a giorni alterni ai cittadini dei sette Paesi messi all' indice. E il caso potrebbe arrivare subito alla Corte suprema forte del nuovo togato conservatore nominato da Trump, Neil Gorsuch che, secondo un sondaggio Cnn-Orc, per il 49% degli americani dovrebbe essere confermato in Senato.
A prendere le difese di Trump è il vice Mike Pence: «Il popolo americano è ben abituato a questo Presidente che parla fuori dai denti e in modo molto diretto». Dall' altra parte della barricata proseguono le proteste nei quattro angoli del Paese, comprese quelle di Palm Beach, in Florida, da parte di tremila dimostranti riuniti di fronte alla residenza marittima dell' ex tycoon di Mar-a-Lago.
A scomodarsi per dire la sua a Trump è stato persino il leader di Al Qaeda nello Yemen, Qassim al-Rimi: «Il nuovo pazzo della Casa Bianca ha ricevuto un colpo doloroso nella sua prima uscita fuori dalla vostra terra», ha detto Rimi in riferimento al raid delle forze speciali Usa in Yemen nel quale - sostiene - sono rimasti uccisi o feriti diversi militari americani. Visto l' autore dell' attacco non è facile distinguerne il confine tra critica e complimento.