Federico Rampini per corriere.it - Estratti
Fra questi due eventi c’è probabilmente un legame. Il primo è la recente rimonta di Donald Trump nei sondaggi. Il secondo: negli ultimi comizi di Kamala Harris, e nei media progressisti, torna l’allarme sul «fascismo in agguato» se lui vince il 5 novembre.
Mancano due settimane al voto, e comincio con il ricordare un dettaglio tecnico non irrilevante. Molti americani hanno già votato o stanno votando, con due opzioni disponibili in diversi Stati Usa (le regole elettorali precise variano da stato a stato, e sono di competenza locale): recandosi negli appositi seggi elettorali già aperti perché abilitati ad accogliere il voto anticipato; oppure votando per corrispondenza.
Io, ad esempio, ho già fatto il mio dovere di elettore a New York, usando l’opzione del voto per corrispondenza, in modo da essere più libero per il mio lavoro il 5 novembre, soprattutto in caso di forte affluenza, code e attese nell’Election Day canonico. Ricordo questo aspetto tecnico perché una parte degli americani, che va crescendo di giorno in giorno, hanno già deciso e votato. Ma non sappiamo come (qui lo speciale elezioni).
Intanto, sul fronte dei sondaggi, il vento è cambiato, dopo un periodo abbastanza favorevole a Kamala Harris che era stata aiutata dalla convention di Chicago (metà agosto) e dal duello televisivo con il suo rivale (10 settembre). Cito tre segnali degli ultimi giorni. Nate Silver e Nate Cohn, i due esperti «omonimi e concorrenti» che su New York Times e Substack analizzano una sintesi costante e aggiornata di tutti i sondaggi disponibili, hanno segnalato dalla scorsa settimana una risalita di Trump.
KAMALA HARRIS VS DONALD TRUMP - SONDAGGIO FIVE THIRTY EIGHT - 15 OTTOBRE 2024
È questione di piccoli numeri, percentuali modeste, che non sconvolgono una situazione di sostanziale parità e quindi di estrema incertezza. Però danno adito al dubbio che proprio in vista del traguardo sia percepibile un «effetto slancio» (momentum è il termine usato dai sondaggisti americani) in favore del repubblicano.
Una conferma viene dal settimanale britannico The Economist che ha un suo modello previsionale, basato su una serie di indicatori diversi dai tradizionali sondaggi: è passato dal favorire Harris al segno opposto. Infine, cito Mark Penn, che fu a lungo un sondaggista democratico nonché consigliere di Bill e Hillary Clinton: oggi sostiene che Trump è più credibile sui tre terreni che contano cioè inflazione (economia), immigrazione, ordine pubblico e criminalità. Inoltre, per quanto i temi internazionali non siano importanti, anche sulla politica estera una maggioranza di elettori pensano che l’America sarebbe più sicura con Trump. Trovo significativo che Penn non voglia dargli torto, alla luce del caos globale sotto Biden-Harris.
KAMALA HARRIS - JOE BIDEN - DONALD TRUMP - JD VANCE A GROUND ZERO
Tutto ciò non deve suggerire conclusioni affrettate. La gara resta sostanzialmente aperta, le probabilità statistiche sono 50/50. E sorvolo su tante incognite quali: i possibili errori dei sondaggi; lo scenario di ricorsi e contestazioni post-scrutinio; la possibilità che un partito conquisti la Casa Bianca, ma non la maggioranza al Congresso per cui avremmo una presidenza dimezzata, eccetera.
Sta di fatto che al cambio di segno nei sondaggi più recenti corrisponde un nuovo tono nella campagna Harris. La vicepresidente all’inizio aveva impostato una campagna positiva, ottimista: si era detta la candidata della «gioia», si era presentata come portatrice di cambiamento, aveva promesso di rilanciare il "Sogno americano" di una società ricca di opportunità per tutti.
Di colpo negli ultimi giorni il messaggio è cambiato: il tema dominante è diventato la minaccia che corre la democrazia americana, e Trump è stato definito apertamente un fascista, o aspirante dittatore. Si ha l’impressione che l’apparato democratico non sia più convinto dell’efficacia di una campagna positiva, e voglia cavalcare l’allarme dittatura per risalire in extremis. I media più noti, che sono schierati con Harris, hanno ripreso queste accuse con grande enfasi, e così alimentano l’impressione che il 5 novembre si vada a votare non per questo o quel candidato, ma pro o contro la democrazia stessa.
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(…) il Wall Street Journal nella sezione delle opinioni e commenti è schierato a destra ma rappresenta l’anima tradizionale del partito repubblicano, non quella attuale. Dunque ha una linea conservatrice, liberista, e anti-trumpiana.
(…) Forse decine di milioni di americani sono favorevoli a un colpo di Stato fascista? La verità è che la maggioranza degli americani non crede ai meme sul fascismo, e ha delle buone ragioni. La prima è nella storia del primo mandato Trump. A prescindere da quali fossero le sue intenzioni, lui fu ostacolato dai contropoteri e bilanciamenti del sistema istituzionale americano.
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L’opposizione, la stampa, la burocrazia federale contrastavano costantemente i suoi atti, e lo farebbero anche in futuro». L’editoriale prosegue ricordando che «il peggior strappo ai limiti del potere esecutivo» della prima amministrazione Trump avvenne quando una piccola porzione del bilancio della Difesa (400 milioni) fu riallocata per costruire il Muro con il Messico. Spiccioli, osserva il Wall Street Journal, rispetto agli abusi del potere esecutivo avvenuti sotto l’amministrazione Biden-Harris: i miliardi regalati agli studenti universitari per cancellare i loro debiti, le migliaia di miliardi spesi per azioni coercitive che impongono agli americani scelte ideologiche sul clima o sulla woke culture, spesso in dispregio della Costituzione.
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In quanto alle minacce di Trump di usare la polizia e perfino le forze armate contro i propri oppositori, il WSJ ricorda che lui ha precisato di riferirsi agli estremisti che ricorrono alla violenza di piazza. «In ogni caso, qualsiasi intenzioni lui abbia – prosegue l’editoriale – dovrà vedersela con gli ostacoli insiti nelle istituzioni americane. Gli stessi giudici da lui nominati respinsero le sue accuse sui brogli elettorali, e i repubblicani bloccarono i suoi tentativi di sovvertire il risultato. Noi abbiamo fiducia che la Corte suprema, le forze armate, il Congresso, impediranno qualsiasi attentato alla Costituzione».
Quindi il giornale torna sulle ragioni per cui la maggior parte degli americani non considerano Trump una minaccia unica contro la democrazia: «Perché hanno visto i democratici calpestare ogni sorta di regole pur di sconfiggerlo». L’editoriale ricorda la bufala del Russiagate nel 2016, un castello di menzogne fabbricate dallo staff di Hillary Clinton. I tentativi di far fuori Trump attraverso i processi, con il procuratore generale di New York che fece la sua campagna elettorale «promettendo di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di incriminarlo». E prosegue: «È stato sovvertito così un principio fondamentale della giustizia americana.
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I democratici – Harris inclusa – dicono esplicitamente di voler compromettere l’indipendenza della Corte suprema imponendole nuove regole e controlli. Vogliono abolire la maggioranza qualificata nelle votazioni al Senato: questa secondo noi è una minaccia alla Costituzione più grave di qualsiasi cosa Trump sia in grado di fare». La conclusione: «La paura del fascismo sarebbe più credibile se i democratici non abusassero del potere. Se perdono quest’elezione contro Trump, visti i suoi difetti, non sarà perché lui è un aspirante Mussolini. La ragione sarà il bilancio del governo Biden-Harris».
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