TUTTO FA BRODY! – PARLA REED BRODY, IL GRANDE “CACCIATORE” DI DITTATORI CHE INCHIODO’ PINOCHET E DUVALIER: “IL MIO GRANDE RIMPIANTO È NON ESSERE RIUSCITO A FARE INCRIMINARE GEORGE W. BUSH PER GLI ABUSI AD ABU GHREIB E GUANTANAMO”

“Abbiamo depositato la richiesta in America e all’estero. Il fatto è che gli Stati Uniti si sono resi immuni alla Corte di giustizia internazionale, infatti non hanno ratificato il Trattato di Roma, ed esercitano il veto al Consiglio di sicurezza dell’On”...

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Alix Van Buren per ‘La Repubblica'

Come si diventa cacciatore di tiranni? Reed Brody, 60 anni, consulente e portavoce di Human Rights Watch, lo sa bene: ha trascorso un trentennio a inchiodare alla sbarra dittatori sulfurei come il cileno Augusto Pinochet, l'haitiano "Baby Doc" Duvalier, il chadiano Hissène Habré e pletore di aguzzini responsabili di atrocità dall'America Latina all'Africa all'Asia.

REED BRODYREED BRODY

Per conquistare gli "scalpi" - dice - servono una volontà tetragona, corvée snervanti di ricerche e di viaggi, e, soprattutto, «la profonda convinzione che anche un semplice cittadino possa cambiare il mondo». Brody sorride soddisfatto mentre è al telefono da New York e si prepara a volare a Dakar dove l'aspetta il processo a Habré, "il Pinochet d'Africa", per i crimini compiuti in Ciad.

Soddisfatto della nuova vittoria, avvocato Brody?
«Può scommetterci. Abbiamo impiegato quindici anni a costruire l'accusa, convincere l'Unione africana a istituire una Corte speciale, emarginare i giudici corrotti dai soldi di Habré sottratti al Tesoro del Ciad. Finalmente il Senegal, dove lui s'è rifugiato, ha capitolato. Però, ho avuto un'immensa fortuna».

HISSENE HABREHISSENE HABRE

Quale?
«In Ciad, mentre aiutavo le vittime a raccogliere le prove, sono letteralmente incappato in cumuli di documenti: l'intero archivio della polizia politica. Nel quartier generale abbandonato, ho trovato migliaia di carte sparse fra calcinacci e ossa spolpate di polli, con la prova delle incarcerazioni, gli assassinii. Il Pinochet africano aveva portato con sé il tesoro nazionale ma non aveva badato a distruggere le prove dei suoi crimini».

Quella "pesca miracolosa" l'ha riportato ai giorni dell'arresto a Londra di Pinochet, nel ‘98?
«Era la prima volta che scendevamo in campo, con Human Rights Watch, come parte in causa al fianco delle vittime. Pinochet pretendeva l'immunità. Noi abbiamo ottenuto la conferma dell'arresto e l'estradizione. Quel giorno è suonata la sveglia per i dittatori, non più immuni dalla giustizia, ma si sono svegliate anche le vittime».

PINOCHETPINOCHET

Cos'è successo?
«Mi sono piovute richieste da mezzo mondo: dall'Etiopia, dall'Uganda, dal Ciad. Mi chiedevano: e Suharto? Idi Amin? Sarebbe bello sottoporre tutti i despoti alla giustizia, ma a volte bisogna sfidare i poteri forti, e non sempre si riesce. Idi Amin era protetto dall'Arabia Saudita, come oggi l'America protegge sé stessa e Israele, la
Russia protegge la Siria, e la Cina la Corea del Nord».

Eppure lei ha sfidato il presidente Reagan, nella faccenda dei contras in Nicaragua.
Come andò?
«Avevo 30 anni, ero viceprocuratore dello Stato di New York. Un amico m'invitò in Nicaragua. In giro per le montagne con un missionario, tanta povera gente mi raccontava le atrocità dei contras: i roghi, gli omicidi, le torture. "Devi farlo sapere in America", imploravano».

E lei cosa ha fatto?
«Mi sono dimesso dalla procura, ho attraversato il Nicaragua in lungo e in largo sul retro di un camioncino pick-up, e raccolto testimonianze di centinaia di vittime. Fu un altro colpo di fortuna: il mio resoconto finì in prima sul New York Times. Reagan fu costretto a sospendere i fondi ai contras».

PINOCHET E ALLENDEPINOCHET E ALLENDE

Qual è oggi la sua più grande sfida?
«La Siria, l'inferno in cui sta precipitando. Abbiamo fatto un lavoro capillare, individuato i responsabili delle atrocità, i centri di tortura. Ma più continuiamo e più emergono atrocità anche dei ribelli, e questo rende più ambigua la situazione sotto il profilo morale, indebolisce la volontà politica d'intervenire da parte della comunità internazionale».

REED BRODYREED BRODY

E il suo maggiore rimpianto?
«Non essere riuscito a fare incriminare l'ex presidente americano George W. Bush per avere ordinato il ricorso alla tortura, per gli abusi ad Abu Ghreib, per Guantanamo. Abbiamo depositato la richiesta in America e all'estero. Il fatto è che gli Stati Uniti si sono resi immuni alla Corte di giustizia internazionale, infatti non hanno ratificato il Trattato di Roma, ed esercitano il veto al Consiglio di sicurezza dell'On».

REED BRODYREED BRODY

Chi sono i suoi peggiori nemici?
«I poteri politici, che fanno scudo ai propri protetti. I veri eroi, invece, sono le vittime che traggono forza dalle proprie sofferenze e l'investono nella ricerca della giustizia. È la loro determinazione a portare i tiranni alla sbarra».

 

 

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