Roberta Amoruso e Gabriele Rosana per "Il Messaggero"
Potenziare la produzione di gas naturale del Paese arrivando, per ora, almeno a 2,5 miliardi in più l'anno per sfiorare il traguardo dei 6,5 miliardi complessivi. Più gas dall'Alto Adriatico ma anche dalla Sicilia.
È questa la missione affidata dal governo di fatto ad Eni, il principale operatore del Paese con il 90% della produzione attuale, per poter offrire tariffe controllate che arrivino a più che dimezzare le bollette delle imprese.
Si pensava di poter arrivare oltre, di superare il raddoppio della produzione nazionale arrivata nel 2021 al minimo storico, ma le ultime riunioni tecniche hanno portato a un bagno di realismo.
Per andare oltre certe cifre si dovrebbero riaprire dei pozzi chiusi. Un'operazione con diverse criticità, anche economiche. Di questo si è discusso ieri nella girandola di riunioni a Palazzo Chigi, tra mattina e pomeriggio, alle quali ha partecipato anche l'ad dell'Eni, Claudio Descalzi, insieme al coordinatore del dossier, il sottosegretario Roberto Garofoli, e ai due ministri in prima fila sul dossier energia, Roberto Cingolani e Daniele Franco.
Perché l'incremento della produzione di gas, accanto alla spinta delle rinnovabili, sarà il cuore del decreto atteso venerdì in Consiglio dei ministri. Un provvedimento che punta ad arrivare a mettere in campo fino a 7 miliardi per arrivare a rinforzare anche gli aiuti alle famiglie. Ma l'asticella potrebbe fermarsi anche a 5 miliardi.
IL PIANO LIGHT
Intanto, va detto, che rimane comunque una sfida non semplice affrontare in tempi stretti anche la versione light del piano del governo sul gas visto che si tratta di potenziare, dove possibile, una macchina di pozzi congelata dalla moratoria no-trivelle voluta dal governo Conte nel 2019.
roberto garofoli foto di bacco (1)
Non si tratta soltanto di valutare attentamente i costi e i ritorni di un'operazione che vale almeno 2 miliardi di investimenti, ma sono i tempi la variabile più critica di questa svolta. Soprattutto dopo la pubblicazione, e tre anni di gestazione, del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (Pitesai), pieno di paletti nonostante lo sforzo del ministro Roberto Cingolani di aprire certi varchi.
L'emergenza non ammette paletti e lungaggini, continuano però a dire in questi giorni all'interno del governo. E allora l'idea è che interverrà un provvedimento ad hoc, all'occorrenza, per derogare dal Pitesai.
L'altra ipotesi presa in esame era quella di affidare la regia della svolta, tra autorizzazioni e tempi da stringere, a una sorta di commissario straordinario. Una opzione che sarà considerata in una seconda fase.
Tra i dettagli da definire in una seconda fase potrebbe essere anche la platea delle imprese in difficoltà, in particolare energivore, alle quali destinare energia e gas a sconto. Lo spirito è quello di salvare le imprese dalla chiusura, e si potrebbe iniziare dai settori più colpiti.
I PROGETTI
Quanto alla quantità di gas da destinare all'industria, si era partiti dall'obiettivo di uno stock di 3 miliardi di metri cubi di gas. Ma anche questa cifra potrebbe essere ridimensionata alla luce delle evidenze delle ultime ore. Un bel pezzo di industria si troverà dunque a ricevere energia green (circa 25 terawattora) al prezzo di 50 euro per megawattora e gas a 20 centesimi di euro per metro cubo standard.
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Prezzi pari a meno di un quarto di quelli attuali. La speranza delle imprese è che si arrivi a uno sconto da 4,5 miliardi all'anno. Ma la caccia al gas e alle risorse, potrebbe ridimensionare certe ambizioni. Per fare tutto questo si utilizzerà la riserva di gas in più in arrivo dall'alto Adriatico, ma anche dalla Sicilia appunto.
Per esempio dagli impianti Argo e Cassiopea (10-12 miliardi di metri cubi sotto il fondale del Canale di Sicilia), dove sono già in corso gli investimenti dell'Eni per circa 700 milioni, Da qui potrebbero arrivare presto 1-1,5 miliardi di metri cubi.
Nel frattempo l'Europa è pronta a reagire se «la leadership russa userà la questione energetica come un'arma», ha detto ieri intervenendo davanti al Parlamento Ue la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, rassicurando sulla strategia di Bruxelles per garantire la sicurezza delle forniture, tema di cui nel pomeriggio ha parlato durante un colloquio telefonico anche con il premier Mario Draghi.
L'accusa di von der Leyen è senza mezzi termini: «In un momento di forte domanda, Gazprom sta limitando le forniture all'Europa, facendo toccare alle riserve il livello più basso degli ultimi dieci anni e senza nuove vendite sul mercato spot».
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Questo «comportamento ha già danneggiato la credibilità della Russia come fornitore affidabile» e ha spinto Bruxelles (che da Mosca dipende per circa il 40% del fabbisogno di gas) a guardarsi attorno, ipotizzando una serie di scenari in caso di chiusura dei rubinetti.
«Siamo in trattative con Paesi pronti a incrementare l'export di gas naturale liquefatto verso l'Europa», ha precisato, ricordando le 120 navi che si sono dirette verso i rigassificatori del continente a gennaio, per un totale di 10 miliardi di metri cubi. Ma conta anche sui contatti con esportatori chiave come Qatar e Nigeria e gli Usa, oltre che con partner asiatici come Giappone e Corea del Sud.
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