Alberto Mattioli per la Stampa
Lo stato maggiore leghista sarà consultato dopodomani a mezzogiorno. Da Sergio Mattarella andranno i capigruppo alla Camera e al Senato, Giancarlo Giorgetti e Gian Marco Centinaio, insieme con Matteo Salvini. Diranno al Presidente che il loro candidato per Palazzo Chigi è lo stesso Salvini e che incaricarlo servirebbe a verificare se in Parlamento ci sia una maggioranza disposta a votargli la fiducia. Questa, almeno, è la posizione ufficiale.
Dietro le quinte, la linea leghista è più sfumata. La vera novità degli ultimi giorni è che il centrodestra salirà al Colle in ordine sparso, come singoli partiti e non come coalizione.
SALVINI - DI MAIO - BERLUSCONI - RENZI
L' ha voluto Berlusconi, per rimarcare un' autonomia di scelta che in realtà è sempre più stretta. Ma, a differenza di quel che si potrebbe pensare, alla Lega questa soluzione non dispiace. Vuol dire mostrare plasticamente che il partito con la rappresentanza parlamentare più robusta è il M5s. E, se il criterio che sceglierà il Presidente sarà quello di incaricare il leader del partito più forte, non della coalizione, significa che il primo giro toccherà a Luigi Di Maio, e che probabilmente sarà un giro a vuoto.
Sulla strada del grande accordo Centrodestra-M5s, spiegano dalla Lega, i veri intoppi non sono né il programma né la partecipazione di Forza Italia. Il problema è tutto personale: il nome del premier. Perché se Salvini è disposto a fare un passo indietro, non si capisce perché Di Maio non possa fare altrettanto. Ben venga quindi un incarico al giovin signore pentastellato così, parola di un leghista importante, «magari capirà che il 32% non è il 51%». Insomma, se Di Maio vuole fare davvero un governo con il centrodestra, bisogna si rassegni al fatto che non sarà lui a presiederlo. E su questo punto i margini di trattativa, più che ristretti, sono inesistenti.
BERLUSCONI ED IL SUDORE DI SALVINI
I rapporti con FI sono un altro fronte. Per la Lega è importante tenere insieme il centrodestra anche nel caso si trovi la quadra con il M5s, e la partecipazione dei berlusconiani alla maggioranza è considerata pregiudiziale, nonostante i veti grillini. Tanto sono molti gli azzurri, a tutti i livelli, che lanciano segnali alle loro controparti leghiste per preparare una futura migrazione.
In via Bellerio, semmai, la paura è un' altra. Ultimamente si moltiplicano le aperture grilline verso il Pd, che sembra sempre meno monolitico nel suo no. Si segue con interesse il dibattito nell' ex partitone per capire se davvero possa nascere un governo Di Maio, magari con l' appoggio esterno del Pd. «Non sarebbe comunque un guaio, a parte forse per il Paese», spiegano i leghisti, convinti come sono che il modo migliore per far perdere consensi al M5s sia di farlo governare.
Infine, ieri Salvini è tornato sul tema delle sanzioni europee alla Russia, o meglio sulla necessità di toglierle, un suo eterno cavallo di battaglia. «Spero di potere presto, dal governo, raccogliere l' appello del presidente della Confindustria russa: via queste assurde sanzioni che stanno causando un danno incalcolabile all' economia italiana!», ha twittato il segretario. Si tratta di raccogliere anche il grido di dolore dell' export nazionale, certo. Però una scelta del genere sarebbe un casus belli con Bruxelles. L' ennesimo.