Marino Smiderle per “il Giornale”
Il sindaco «bigotto e bifolco», parole e musica di Elton John, ha idee precise su come difendere e rilanciare Venezia. Sì alle grandi navi che «creano posti di lavoro» e no ai gay pride che «sono una buffonata, il massimo del kitsch». Luigi Brugnaro entra come un elefante nella cristalleria del politically correct e manda in frantumi, con divertito coraggio, ogni convenzione per trovare un vestito adatto da ritagliare addosso a una città che, parole sue, è rimasta in mutande.
I veneziani lo hanno votato anche per questo e lui va avanti dritto per la sua strada, anche a costo di combattere una guerra contro l' establishment associativo dei gay. E in mutande l' anno prossimo potrebbe esserci lo stesso Elton John, chiamato a guidare il gay pride della vendetta.
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Tutto comincia dal no secco del sindaco ai libri gender nelle scuole, quella che ha suscitato le ire dell' autore di Rocket man. Gli intellettuali, categoria non presa in grande considerazione dal sindaco, prendono cappello e lui se ne frega allegramente.
Anzi, rincara la dose: «Mai più un gay pride a Venezia, che se lo vadano a fare a Milano». Molti dei veneziani che lo hanno preferito al «progressista» Casson alle ultime elezioni, memori dei precedenti lagunari di manifestazioni del genere, si schierano al suo fianco. Ma le associazioni gay interpretano queste uscite come una dichiarazione di guerra. E guerra sia: «Il gay pride del 2016 - tuona Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center - non può che tenersi a Venezia.
Brugnaro ne vuole fare il simbolo di città off limits per i diritti civili lgbt e serve una risposta. Non si può accettare una così evidente discriminazione, tutti a Venezia per un pride nazionale che affermi visibilità e diritti». Ad aprire le ostilità, è l' auspicio organizzativo di Marrazzo, potrebbe essere proprio Elton John, invitato ad aprire il corteo nella città del sindaco sbertucciato dal cantante.
Vuoi mettere i tempi di Massimo Cacciari? Franco Grillini, presidente di Gaynet Italia, rimpiange i tempi in cui, in materia di diritti per la categoria, si stava peggio. E, rivolgendosi al «ducetto Brugnaro», rammenta con nostalgico orgoglio si essere stato organizzatore del gay pride veneziano del 1997. «Fu una magnifica iniziativa con un enorme successo di partecipazione e mediatico - ricorda -.
Ma allora c' era un sindaco amato e stimato da tutti e cioè Cacciari che collaborò, ci ricevette a Ca' Farsetti e ci diede tutta la collaborazione possibile per l' organizzazione, i permessi e le iniziative pubbliche di dibattito e di confronto».
A Brugnaro basta pensare alle esibizioni del gay pride di Venezia dell' anno scorso per ribadire con forza il concetto mai più a Venezia. L' Arcigay del Veneto dipinge il sindaco come «un vandalo della democrazia» e rigira la frittata: «Non è certo il gay pride dello scorso anno ad aver messo in imbarazzo Venezia, semmai è la volgarità del sindaco Brugnaro a far vergognare la città di fronte a tutto il mondo».
Il sindaco tira dritto e ritwitta immagini poco edificanti di esibizionisti omosessuali in pose oscene, quasi a chiedere ai concittadini: volete questa pagliacciata per le calli? Lui è convinto che i veneziani e anche i suoi amici gay («Ne ho diversi e non ho nulla contro di loro») appoggerebbero le sue decisioni così lontane dal mondo degli intellettuali globali («Però Paolo Mieli a Cortina mi ha difeso e lo ringrazio pubblicamente») ma così vicine al mondo, magari confinato in laguna, del popolino locale. Che è rimasto in mutande per motivi economici e non per scelta ideologica.