Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, mi vengono i brividi al pensiero di una delle famiglie italiane che covano il ricordo in un loro congiunto morto nel mentre quel giugno 1940 il nostro esercito stava cercando di affondare il coltello nella schiena dei nostri cugini francesi che erano stati annichiliti dalla guerra-lampo dei nazi.
Vittorio Foa me lo aveva raccontato quando, lui recluso da anni in una cella di Regina Coeli, gli arrivarono gli ululati di piacere della folla italiana che s’era radunata ai piedi del balcone di Palazzo Venezia da dove Benito Mussolini annunciò che stavamo entrando in guerra contro la Francia.
ALDO CAZZULLO - MUSSOLINI IL CAPOBANDA
Nel suo recentissimo Mussolini il capobanda (Mondadori, 2022) Aldo Cazzullo lo ricorda alla maniera sua come andarono le cose. Con un rapporto di forze a noi favorevole nella proporzione di cinque a uno, i nostri soldati non avanzarono di un metro.
Quando si trattò di firmare l’armistizio, i francesi non ne volevano sapere di firmarlo nei confronti dell’Italia, di cui dicevano che non era stata neppure in grado di entrare in guerra contro di loro.
In quella farsa di attacco alle spalle di una nazione vinta, scrive Cazzullo, i nostri soldati morti furono 631 oltre a 616 dispersi. In tutto e per tutto i francesi perdettero 37 uomini.
L’ho detto, penso alle famiglie di quegli oltre 1200 italiani morti nel tentativo di umiliare ulteriormente la nazione più delle altre nostra cugina, quella la cui lingua e la cui letteratura avevano fatto da incunabolo della nostra cultura novecentesca.
A partire dal 1938, e dunque del momento in cui Mussolini serra a doppio filo il suo destino politico a quello della Germania nazi, si fa giorno dopo giorno più immane la tragedia del fascismo italiano e del suo Duce.
Tragedia militare, politica, morale. Durante l’estate del 1940 i nostri piloti, che negli anni Trenta s’erano fatti valere quali i migliori del mondo, vorrebbero affiancare gli aerei nazi nel dare addosso all’Inghilterra nella battaglia che cambierà il corso della Seconda guerra mondiale: solo che i nostri aerei erano inadatti a volare nelle condizioni climatiche proprie dei cieli inglesi.
Dopo la vergogna del colpo alle spalle dei francesi, andiamo invano all’assalto dei greci e delle loro fortificazioni. Nel Mar Mediterraneo le nostre corazzate vengono affondate a Taranto degli inglesi senza colpo ferire. Quando c’è da affrontare croati e sloveni sul nostro confine orientale, le truppe italiane ci vanno di mano pesantissima quanto a fucilazioni e rappresaglie. E’ una sequela di sconfitte e di umiliazioni che marchieranno per sempre il comune sentire della nostra gente. E comunque sta per arrivare in libreria il terzo dei poderosi volumi nei quali Antonio Scurati ha raccontato l’itinerario del fascismo mussoliniano, il volume per l’appunto dedicato ai due fatali anni 1938-1940.
A dire il vero la storia del fascismo italiano si divide in tre parti ben distinte tra loro: l’avvento vittorioso e la successiva stabilizzazione del regime fino ai primi anni Trenta, i due anni in cui si consolida la letale alleanza con Adolf Hitler, i rovesci militari a catinelle della Seconda guerra mondiale nonché i due anni in cui italiani andarono addosso ad altri italiani con una furia non esente da libidine.
benito mussolini marcia su roma
E questo fino al 2 maggio 1945, quando innanzi al muretto di Dongo gli ultimi uomini di rilievo (o supposti tali) del fascismo cadono sotto il fuoco del plotone partigiano. Fine, il fascismo italiano quel giorno è andato morto e sepolto. Usare nelle contese politico/partitiche dell’oggi il temine “fascismo” è da imbecilli.
Non è certo sotto il portone romano del palazzo dove Casa Pound aveva la sua sede che viene come bissata la temperie del 1919-1922, degli anni in cui Benito Mussolini partì da un’elezione in cui s’era guadagnato poco più di 2000 voti per poi vincere e stravincere sino a diventare il padrone assoluto del nostro Paese.
Ecco, e qui comincia il mio dissidio dal libro di Aldo. Dal fatto che il ruolo del Duce in quei pochi anni talmente decisivi non può essere astretto a quello di un “capobanda”, di un gangster a capo di altri gangster come e più di lui feroci.
La cruciale domanda su quali siano stati i tanti perché della sua stravittoria politica resta insoddisfatta dal racconto pur così incalzante del suo libro. Feroci, ferocissimi, gente che andava dieci contro uno a sfracassare sindacalisti e rivali politici, assassini di professione quali Amerigo Dùmini e tanti altri, esperti di nient’altro che non dell’uso del manganello e dell’olio di ricino, i fascisti italiani del 1919-1922 furono soltanto questo?
O non è che ebbero contro avversari che non erano d’accordo su nulla, che si azzannavano gli uni con gli altri, che all’indomani del martirio di Giacomo Matteotti non seppero fare altro che rifugiarsi sull’Aventino? Sì o no è quest’ultima la ragione del trionfo di Mussolini dopo il 3 gennaio 1925, dopo quel suo impudente discorso in Parlamento in cui dice che sì è lui il capo di quell’accozzaglia di delinquenti e allora?
Quali erano le ragioni dell’adesione al fascismo di uomini che un manganello non lo avevano mai visto in vita loro, il filosofo Giovanni Gentile o l’organizzatore di cultura Filippo Tommaso Marinetti, il pittore Mario Sironi o l’architetto Luigi Moretti, il giornalista Leo Longanesi o lo scrittore Luigi Pirandello? A dire quel che è stato davvero il fascismo italiano nei suoi anni trionfanti sì o no questi nomi contano quanto e più di quello di Dùmini? E senza dire che la notte del 25 luglio 1943 furono dei fascisti italiani, e a rischio della loro vita, a buttar giù un dittatore tanto imbolsito quanto ebbro dei suoi stratosferici insuccessi.
aldo cazzullo foto di bacco (4)
adolf hitler e benito mussolini filippo tommaso marinetti 6 adolf hitler e benito mussolini 6 benito mussolini adolf hitler filippo tommaso marinetti 7 filippo tommaso marinetti 9
giampiero mughini casa museo muggenheim