Noa Agnete Metz per “la Stampa”
La destra, al potere quasi ininterrottamente da 18 anni, si vede perdente nei sondaggi sia per le europee sia per le elezioni politiche del prossimo 5 giugno. Il tradizionale cavallo di battaglia, la lotta all' immigrazione, è passato di moda. O, per lo meno, così sembrava fino a poco tempo fa. Tenere lontani dalle frontiere i migranti è già un fatto compiuto, inclusa un' isola a largo della costa danese dove, dal 2021, chi non ha il permesso di soggiorno aspetterà il rimpatrio.
l'inceneritore di copenaghen con la pista da sci sul tetto 3
Ai danesi sarebbe piaciuto ora preoccuparsi dell' ambiente. Nella Scandinavia di Greta si registrano sempre più casi di depressione dovuti alle minacce al clima, soprattutto tra i giovani, e la parola d' ordine nei media e in politica è ecologia. Le imprese fanno la fila per piantare alberi in Africa e compensare così la traccia di Co2 lasciata dai viaggi aerei dei loro dipendenti, mentre nel centro di Copenaghen è stato inaugurato l' inceneritore più sofisticato al mondo, con tanto di pista da sci sul tetto e bar.
gli estremisti islamici di hizb ut tahrir in danimarca 3
L' ambiente sta diventando una causa di tutti e la sensazione è che il centro-sinistra sarà più efficace nel prendersene cura. Ad aprile però un bel po' di spazzatura non ha raggiunto l' inceneritore, ma ha preso fuoco direttamente nelle strade della capitale durante sommosse di giovani, molti dei quali immigrati di seconda generazione, che hanno sfogato la loro rabbia bruciando macchine e cassonetti.
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Sono stati loro, insieme a un piccolo partito di nome Stram Kurs, «Linea dura», a mettere l' ecologia nell' angolo. Il fondatore, Rasmus Paludan fa del suo meglio per dimostrare disprezzo verso l' Islam. Il programma elettorale propone di mandare via tutti i musulmani e, se necessario, liberarsene gettandoli da aerei. Paludan ce l' ha in particolare con il piccolo gruppo «Hizb ut- tahrir» che più volte ha manifestato nel cuore di Copenaghen, anche con qualche maglietta inneggiante all' Isis, ed è favorevole all' introduzione della sharia. A fine aprile, il gruppo organizzava le preghiere del venerdì davanti al Parlamento, in memoria delle vittime dell' attacco contro la moschea di Christchurch in Nuova Zelanda e contestando l' atmosfera islamofoba.
RASMUS PALUDAN DA' FUOCO AL CORANO
Paludan ha promosso una contro-manifestazione, bruciando una copia del Corano avvolto nel bacon e gettandone un' altra nei canali. Un sostenitore del gruppo islamico si è tuffato per salvarlo. Per fare queste attività, Paludan ha bisogno di costante protezione delle forze dell' ordine.
Già condannato per razzismo, e con idee fin troppo grottesche per la maggioranza dei danesi, ha però toccato un nervo scoperto in una società prevalentemente laica, che si interroga sulla compatibilità tra una minoranza islamica che invoca la sharia e la democrazia.
Dopo le sommosse di aprile che hanno coinvolto vari quartieri della capitale, per una settimana le autorità gli hanno vietato di manifestare. Lui l' ha definita una violazione dei suoi diritti a riprova del fatto che, mentre «hizb ut-tahrir» può incitare a odio e violenza, le autorità non gli consentono di criticare l' Islam.
La politica prende le distanze da Paludan, ma non del tutto. La laicità e la libertà di parola, in salsa più moderata, sono temi che potrebbero aiutare la destra a battere l' ambientalismo del centrosinistra alle urne. Per ora, a soffrire gli eccessi di Paludan sono i tanti musulmani danesi a cui non interessano né la sharia, né «hizb ut-tahrir», e che si sentono minacciati dalle sue affermazioni. Il comico danese, Mazen Ismail, di origine musulmana, più volte criticato da Paludan, in una lettera aperta sul giornale «Politiken» ha affermato: «Paludan dice che il sangue scorrerà per strada, sono fra quelli che a lui non piacciono, quindi stiamo parlando anche del mio sangue. Paludan sta parlando di pulizia etnica, di fare test medici per capire chi ha digiunato per il Ramadan.
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Ora potrebbe entrare in parlamento. Non mi viene più di scherzare. Per le elezioni non votate per lui, ma per chi ci tiene insieme come popolo».
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