Raffaella De Santis per “la Repubblica” - Estratti
Chi ha vissuto gli anni della controcultura conosce bene Andrea Valcarenghi, nella sua seconda vita ribattezzato Majid. È l’inventore della rivista cult Re Nudo , l’uomo che ha mescolato la psichedelia con il marxismo e ha portato l’anima della Beat Generation a Brera, l’India di Osho in Toscana, i primissimi concerti pop al Parco Lambro di Milano, un po’ la nostra Woodstock.
Il fondo Bacchelli, assegnato anche allo scrittore Gianfranco Calligarich, alla soprano Maria Bianca Anna Dragoni e al disegnatore Giovanni Maramotti, prevede 24 mila euro annui.
Valcarenghi, oggi settantasettenne, al telefono si racconta senza scosse.
Non ha maturato pensione, di libri in genere non si vive, e Re Nudo per quanto longeva, chiude nel 2020, dopo vari salti, in passivo. In più Majid è uscito dalla sua comunità vicino Siena. Ci tiene a dire però che ancora segue gli insegnamenti del suo maestro, Osho Rajnees, e che la sua è «una spiritualità laica».
Nella vita è stato animatore del movimento studentesco del Sessantotto, promotore culturale e anche scrittore: tra i titoli più noti Politica e zen (Feltrinelli). La proposta per il vitalizio è stata presentata al governo Meloni da Eugenio Spagnuolo insieme a un comitato promotore formato, tra gli altri, da Luigi Manconi, Fausto Bertinotti, Vasco Rossi, Jovanotti, Lella Costa, Lidia Ravera, Sandro Veronesi e Michele Serra, con cui aveva collaborato ai tempi di Cuore .
Provi a definirsi. È un uomo di sinistra, un rivoluzionario, un hippie, un alternativo?
«Una volta Giorgio Gaber se ne uscì con una domanda simile. Passavamo insieme molto tempo al Macondo, il locale di Mauro Rostagno a Milano che avevo rilevato e ribattezzato Vivek.
Era un centro di meditazione e aveva una sala da tè e un ristorante. Gaber un giorno mi chiede: ma noi come ci definiamo politicamente? Gli rispondo: io mi definisco libertario. Fu d’accordo. I nostri valori erano trasversali, eravamo antropologicamente di sinistra ma non condividevamo la linea della sinistra di partito».
Per questo lei ha frequentato inclassificabili geniali come Enzo Jannacci, Eugenio Finardi, Franco Battiato?
«Tra un concerto e l’altro, ci incontravamo in un locale di via Maroncelli, una ex fabbrica abbandonata, una sorta di centro sociale ante litteram. C’erano anche Nanni Ricordi e Ivan Cattaneo. Battiato era un grande lettore di Re Nudo e condividevamo una spiritualità comune. D’altra parte la scuola sufi e Gurdjieff, suoi fari, sono molto vicini a Osho».
Se lo aspettava di ricevere uno stipendio dal governo Meloni?
«Sinceramente no, sono rimasto sorpreso. Aveva ragione mio padre quando diceva che anche nelle persone peggiori può esserci qualcosa di buono».
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In quegli anni lei fu sostenuto da Marco Pannella, altra presenza costante nella sua vita.
«Mi aiutava a organizzare conferenze stampa e firmò anche la prefazione del libro Underground a pugno chiuso. Grazie a lui sono riuscito a rimettermi in linea con la mia matrice culturale non violenta dopo un piccolo sbandamento. Pannella è stato un riferimento di vera passione politica. Mi diceva sempre: sono più vicini a noi i nostri avversari di chi è indifferente. Aveva ragione, bisogna temere gli amorfi più di ogni altra cosa».
A un certo punto però finisce a Pune, in India, nella comunità di Osho, cambia nome, si fa chiamare Majid. Una fuga o un altro capitolo delle sue scelte sovversive?
«Avevo letto un libro di Osho, La rivoluzione interiore. E poi, confesso, ha avuto un ruolo la mia compagna di allora. Era tornata dall’India vestita di arancione e mi aveva sfidato ad andare: “parli, parli di Oriente ma poi non muovi mai il culo da Milano”.
I primi giorni lì mi sentivo interiormente travagliato, pieno di dubbi. Poi ascoltai Osho parlare di politica e l’impressione è che stesse rispondendo a tutti i rovelli che non avevo espresso. In sintesi diceva che non può esistere rivoluzione sociale senza una rivoluzione interiore. La sua lezione coniugava libertà e responsabilità».
E così si convinse, più di quanto non lo fosse già, che Marx poteva incontrare l’Oriente e lo zen?
«Non ho mai abiurato il marxismo, semmai c’è stato un allargamento. Osho non ha cancellato le esperienze ma ha aperto una porta nuova».
Neanche la storia delle 93 Rolls-Royce di Osho e le polemiche che seguirono le ha fatto cambiare idea?
«Qui è complicato, ci vorrebbe un saggio. L’Occidente cristiano ha fatto del pauperismo la sua stella, usando la povertà come strumento di colonizzazione. Osho si batteva contro questa idea, credo che le Rolls-Royce siano state il suo fuoco di sbarramento, un modo per dire che solo affrancandosi dall’indigenza si può essere liberi di intraprendere un percorso spirituale».
I cultori di Re Nudo erano di varia estrazione. La musica, la letteratura, l’ironia, le radio libere erano cibo non solo per i cosiddetti capelloni.
«Una volta Oliviero Diliberto mi ha confessato che leggeva Re Nudo di nascosto dal partito. Prima c’era stata Onda Verde, un movimento fondato insieme a Gianfranco Sanguinetti, Antonio Pilati e Marco Maria Sigiani che poi divenne anche una rivista e che guardava alla controcultura dei provos olandesi. Eravamo a ridosso del Sessantotto, e in un articolo prefigurammo quello che sarebbe accaduto un anno dopo a partire dalla facoltà di sociologia a Trento, dove era Rostagno».
Mauro Rostagno fa parte della sua cerchia di amici, era di Lotta Continua e aveva fondato una comunità ispirata a Osho.
«La prima volta lo avevo sentito parlare da studente alla Statale di Milano, fischiatissimo dal nascente movimento di Mario Capanna. Coraggioso andò avanti. Ci conoscemmo allora, lo inseguii. Ha partecipato all’avventura di Re Nudo e per questo spesso è stato criticato dai suoi.
Voleva aprire Lotta Continua alle tematiche della controcultura. I nostri riferimenti erano la Beat Generation, Ginsberg, Burroughs, Ferlinghetti, Gregory Corso, la psichedelia di Timothy Leary. Il Beat non era solo una rivoluzione letteraria, ma comportamentale. Volevamo un’altra vita. Avevamo uno slogan: voi vi occupate delle otto ore lavorative, noi delle altre sedici».
Il conflitto era dentro la sinistra?
«Temi come l’omosessualità e la liberazione della donna nei partiti tradizionali avevano poco spazio, per noi erano centrali. Inoltre non idealizzavamo la figura dell’operaio perché la consideravamo vittima della filiera della repressione. A casa l’operaio riproduceva con moglie e figli gli stessi meccanismi di sfruttamento subiti».
Vive ancora nella comunità Osho Miasto da lei fondata vicino Siena?
«Volevo ampliare la struttura ma non tutti erano d’accordo e così, dopo esserne stato responsabile per 27 anni, ho lasciato. Da dodici anni mi sono ritirato in collina. Sto scrivendo un libro. Vorrei titolarlo Il mio pensiero libero ».
Ha già un editore?
«Sto sondando. Per citare Jannacci, prima voglio vedere di nascosto l’effetto che fa».